Centralizzazione # 1
(attrazione di capitale già esistente)
Lo sviluppo della forza produttiva sociale
del lavoro presuppone una cooperazione su larga scala;
solo con questo presupposto possono essere organizzate la
divisione e la combinazione del lavoro, possono essere
economizzati i mezzi di produzione concentrandoli in massa,
possono essere creati mezzi di lavoro già materialmente
adoperabili solo in comune, p. es. il sistema delle macchine
[<=]; forze immense della natura possono essere
costrette al servizio della produzione e può compiersi la
trasformazione del processo di produzione in applicazione
tecnologica della scienza. Sul terreno della produzione delle
merci la produzione su larga scala può allignare solo in forma
capitalistica. I capitali individuali, e con essi la
concentrazione dei mezzi di produzione, crescono nella
proporzione in cui costituiscono parti aliquote del capitale
complessivo sociale. Se quindi da un lato laccumulazione si
presenta come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e
del comando sul lavoro, dallaltro si presenta come repulsione
reciproca di molti capitali individuali. Contro questa
dispersione del capitale complessivo sociale in molti capitali
individuali oppure contro la repulsione reciproca delle sue
frazioni agisce lattrazione di queste ultime. Non si
tratta più di una concentrazione semplice dei mezzi di
produzione e del comando sul lavoro, identica con
laccumulazione. Si tratta di concentrazione di
capitali già formati, del superamento della loro autonomia
individuale, dellespropriazione del capitalista da parte
del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in
pochi capitali più grossi. Questo processo di distingue dal
primo per il fatto che esso presuppone solo una ripartizione
mutata dei capitali già esistenti e funzionanti, il cui
campo dazione non è limitato dallaumento assoluto
della ricchezza sociale o dai limiti assoluti
dellaccumulazione.
Il capitale qui in una mano sola si gonfia
da diventare una grande massa, perché là in molte mani va
perduto. È questa la centralizzazione vera e propria a
differenza dellaccumulazione e concentrazione. Il buon
mercato delle merci dipende, coeteris paribus, dalla produttività
[<=] del lavoro, ma questa a sua volta dipende dalla scala
della produzione. I capitali più grossi sconfiggono perciò
quelli minori. Si ricorderà inoltre che, con lo sviluppo del
modo di produzione capitalistico, cresce il volume minimo del
capitale individuale, necessario per far lavorare
unazienda nelle sue condizioni normali. I capitali minori
si affollano perciò in sfere della produzione delle quali la
grande industria si sia impadronita fino allora solo in via
sporadica o incompleta. La concorrenza infuria qui in proporzione
diretta del numero e in proporzione inversa della grandezza dei
capitali rivaleggianti. Essa termina sempre con la rovina di
molti capitalisti minori, i cui capitali in parte passano nelle
mani del vincitore, in parte scompaiono.
Si forma una potenza assolutamente nuova, il sistema
del credito, che ai suoi inizi sinsinua furtivamente
come modesto ausilio dellaccumulazione, attira mediante
fili invisibili i mezzi pecuniari, disseminati in masse maggiori
o minori alla superficie della società, nelle mani di
capitalisti individuali o associati, diventando però ben
presto unarma nuova e terribile nella lotta della
concorrenza e trasformandosi infine in un immane meccanismo
sociale per la centralizzazione dei capitali. Allo stesso tempo
il progresso dellaccumulazione aumenta la materia
centralizzabile, ossia i capitali singoli, mentre
lallargamento della produzione capitalistica crea qua il
bisogno sociale, là i mezzi tecnici di quelle potenti imprese
industriali, la cui attuazione è legata a una centralizzazione
del capitale avvenuta in precedenza. Oggi quindi la reciproca
forza dattrazione dei capitali singoli e la tendenza alla
centralizzazione sono più forti che mai nel passato. Ma anche se
lestensione relativa e lenergia del movimento
centralizzatore sono determinate in un certo grado dalla
grandezza già raggiunta dalla ricchezza capitalistica e dalla
superiorità del meccanismo economico, ciò malgrado il
progresso della centralizzazione non dipende affatto
dallaumento positivo della grandezza del capitale sociale.
Ed è questo specificamente che distingue la centralizzazione
dalla concentrazione, la quale non è che
unespressione diversa per indicare la riproduzione su
scala allargata.
La centralizzazione può avvenire in
virtù di un semplice cambiamento nella distribuzione di
capitali già esistenti, cioè di un semplice mutamento nel
raggruppamento quantitativo delle parti costitutive del
capitale sociale. La centralizzazione completa lopera
dellaccumulazione mettendo in grado i capitalisti
industriali di allargare la scala delle loro operazioni.
Ora, che questultimo risultato sia conseguenza
dellaccumulazione o della centralizzazione; che la
centralizzazione si compia in via violenta, cioè con
lannessione, nel quale caso certi capitali diventano per
altri centri di gravità così preponderanti da spezzarne la
coesione individuale e da attirare poi a sé i frammenti singoli,
o che avvenga la fusione di una quantità di capitali già
formati o in formazione, in virtù di un procedimento più
blando, cioè della formazione di società per azioni,
leffetto economico rimane lo stesso.
[k.m.]
Centralizzazione # 2
(credito e speculazione)
Se si parla del progresso
dellaccumulazione sociale, oggi, vi sono tacitamente
compresi gli effetti della centralizzazione [<=
#1]. Mentre la centralizzazione aumenta gli effetti
dellaccumulazione e li accelera, essa allarga e accelera
allo stesso tempo i rivolgimenti nella composizione tecnica del
capitale, che ne aumentano la parte costante a spese di quella
variabile, e con ciò diminuiscono la domanda relativa di
lavoro. Le masse di capitale saldate da un giorno allaltro
mediante la centralizzazione si riproducono e aumentano come le
altre, solo che aumentano più rapidamente, diventando in tal
modo nuove potenti leve dellaccumulazione sociale in poche
mani, senza che debba crescere in assoluto il volume dei
valori-capitale in funzione, e perciò anche il volume del
capitale monetario in cui essi vengono anticipati. La grandezza
dei singoli capitali può crescere attraverso la
centralizzazione in poche mani, senza che cresca la loro somma
sociale. È mutata soltanto la ripartizione dei singoli
capitali.
Laccumulazione accelera la caduta del
saggio del profitto, in quanto determina la concentrazione del
lavoro su ampia scala e di conseguenza una composizione
superiore del capitale. Daltro lato, la diminuzione del
saggio del profitto accelera, a sua volta, la concentrazione di
capitale e la sua centralizzazione mediante
lespropriazione di piccoli capitalisti, degli ultimi
produttori diretti sopravvissuti, presso i quali è ancora
qualche cosa da espropriare. Il successo e
linsuccesso portano qui egualmente allaccentramento
dei capitali e quindi allespropriazione sulla
scala più vasta. Lespropriazione si estende qui dai
produttori diretti agli stessi capitalisti piccoli e medi. Tale
espropriazione costituisce il punto di partenza del modo di
produzione capitalistico, e allo stesso tempo il suo scopo. A
misura che il capitale speso si accresce, il profitto, anche se
diminuisce come saggio, aumenta come massa. Questo implica
tuttavia al tempo stesso una concentrazione di capitale, poiché
ora le condizioni di produzione richiedono limpiego di
capitali molto forti; e per conseguenza la centralizzazione, vale
a dire lassorbimento dei piccoli capitalisti da parte dei
grandi e la loro decapitalizzazione. Si tratta
ancora una volta della separazione elevata alla seconda
potenza delle condizioni del lavoro dai produttori, ai
quali questi piccoli capitalisti ancora appartengono, poiché il
lavoro in proprio tiene ancora un posto considerevole nel loro
corso.
Questo processo avrebbe come conseguenza di
portare rapidamente la produzione capitalistica allo sfacelo,
qualora altre tendenze contrastanti non esercitassero di
continuo unazione centrifuga accanto alla tendenza
centripeta. La custodia dei fondi di riserva dei commercianti, le
operazioni tecniche di incasso e di pagamento del denaro, i
pagamenti internazionali, e per conseguenza il commercio dei
lingotti, si concentrano nelle mani dei commercianti di denaro.
In seguito a questo commercio di denaro si sviluppa laltro
aspetto della natura del credito, lamministrazione del capitale
produttivo dinteresse [<=] o del capitale
monetario [<=], come funzione particolare dei commercianti
di denaro. Il prendere a prestito e il dare a prestito denaro
costituisce il loro affare particolare. Essi servono da
intermediari fra chi effettivamente prende a prestito e chi
effettivamente dà a prestito capitale monetario.
Espressa in termini generali,
lattività del banchiere sotto questo aspetto consiste
nel concentrare nelle sue mani e in grandi masse il capitale
monetario disponibile per il prestito, così che di fronte ai
capitalisti industriali e commerciali, in luogo del singolo
individuo che dà denaro a prestito, si trovano i banchieri, come
rappresentanti di tutti coloro che danno denaro a prestito.
Essi diventano gli amministratori generali del capitale
monetario. Daltro lato essi rappresentano, di fronte a
tutti coloro che danno a prestito, la figura di chi prende a
prestito, poiché essi prendono a prestito per tutto quanto il
mondo commerciale. Una banca rappresenta da un lato la
concentrazione del capitale monetario, cioè di coloro che danno
a prestito, daltro lato la concentrazione di quelli che
prendono a prestito. Con lo sviluppo del sistema bancario, e
soprattutto non appena le banche pagano un interesse per i
depositi, vengono depositati presso di esse i risparmi in denaro
e il denaro momentaneamente non impiegato di tutte le classi.
Assurda è perciò la frase fatta che fa derivare il capitale
dal risparmio [<=], perché ciò che lo
speculatore pretende è proprio che altri risparmino per
lui. Piccole somme, insufficienti per operare isolatamente come
capitale monetario, sono riunite in grandi masse e costituiscono
cosi una potenza monetaria.
Questa azione di metter insieme piccole somme
deve essere distinta come azione specifica del sistema bancario,
da quella dintermediario tra i capitalisti monetari veri
e propri e coloro che prendono a prestito. Infine vengono
depositate presso le banche anche quelle rendite che devono
essere consumate solo a poco a poco. Se il credito appare come la
leva principale della sovraproduzione e della sovraspeculazione
nel commercio, ciò avviene soltanto perché il processo di
produzione, che per sua natura è elastico, viene qui spinto al
suo estremo limite, e vi viene spinto proprio perché una gran
parte del capitale sociale viene impiegato da quelli che non
ne sono proprietari, i quali quindi agiscono in
tuttaltra maniera dai proprietari, i quali, quando operano
personalmente, hanno paura di superare i limiti del proprio
capitale privato. Da ciò risulta chiaro soltanto che la
valorizzazione del capitale, fondata sul carattere antagonistico
della produzione capitalistica, permette leffettivo, libero
sviluppo soltanto fino a un certo punto, quindi costituisce di
fatto una catena e un limite immanente della produzione, che
viene costantemente spezzato dal sistema creditizio. Il sistema
creditizio affretta quindi lo sviluppo delle forze produttive e
la formazione del mercato mondiale, che il sistema
capitalistico di produzione ha il compito storico di costituire,
fino a un certo grado, come fondamento materiale della nuova
forma di produzione. Il credito affretta al tempo stesso le
eruzioni violente di questa contraddizione, ossia le crisi
[<=] e quindi gli elementi di disfacimento del vecchio sistema
di produzione.
Il credito sviluppa la molla della produzione
capitalistica, cioè larricchimento mediante lo
sfruttamento del lavoro altrui, fino a farla diventare il più
colossale sistema di gioco e dimbroglio, limitando
sempre più il numero di quei pochi che sfruttano la ricchezza
sociale: un capitale illusorio. In periodi di difficoltà
per il mercato monetario, questi titoli subiranno una duplice
riduzione di prezzo; innanzi tutto perché il saggio
dellinteresse aumenta, e in secondo luogo perché essi
vengono gettati sul mercato in massa, per essere convertiti in
denaro. Non appena la burrasca è passata questi titoli
riprendono il loro valore precedente, eccettuato il caso in cui
si tratti di imprese sfortunate o di bassa speculazione. Il loro
deprezzamento durante la crisi agisce come mezzo efficace per
laccentramento dei patrimoni monetari. In quanto la
diminuzione o laumento di valore di questi titoli sono
indipendenti dal movimento di valore del capitale reale che essi
rappresentano, la ricchezza di una nazione non varia in
conseguenza di tale diminuzione o aumento. Con lo sperpero di
capitale in imprese assolutamente senza valore, la nazione non
risulta impoverita di un centesimo in seguito allo scoppio di
queste bolle di sapone di capitale monetario nominale. Tutti
questi titoli non sono in realtà che una accumulazione di
diritti, titoli giuridici, sulla produzione futura, e il loro
valore monetario o valore-capitale non costituisce capitale, come
a es. nel caso del debito pubblico [<=],
oppure è determinato in modo completamente indipendente dal
valore del capitale reale che essi rappresentano.
In tutti i paesi a produzione capitalistica
esiste una massa enorme di cosiddetto capitale produttivo
dinteresse o di capitale monetario sotto questa forma. E
per accumulazione del capitale monetario si deve intendere in
gran parte esclusivamente laccumulazione di questi diritti
sulla produzione, laccumulazione del prezzo di mercato,
del valore-capitale illusorio di questi diritti. Questa espropriazione
si presenta come appropriazione della proprietà sociale
da parte di pochi individui, e il credito attribuisce a questi
pochi sempre più il carattere di puri e semplici cavalieri di
ventura. Poiché la proprietà esiste qui sotto forma di
azioni, il suo movimento ed il suo trasferimento non sono che il
puro e semplice risultato del gioco di borsa dove i piccoli
pesci sono divorati dagli squali e le pecore dai lupi di borsa.
[k.m.]
Centralizzazione # 3
(società per azioni)
Le società per azioni sono
lannullamento dellindustria privata capitalistica
sulla base del sistema capitalistico stesso. Infatti con la
formazione della società per azioni si ha:
1) Un ampliamento enorme della scala
della produzione e delle imprese quale non sarebbe stato
possibile con capitali individuali. Tali imprese divengono ora
sociali.
2) Il capitale, che si fonda per se stesso su
un modo di produzione sociale e presuppone una
concentrazione sociale dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro
[<=], acquista qui direttamente la forma di capitale sociale
(capitale di individui direttamente associati) contrapposto al capitale
[<=] privato, e le sue imprese si presentano come imprese
sociali contrapposte alle imprese private. È la
soppressione del capitale come proprietà privata
nellambito del modo di produzione capitalistico stesso.
3) Trasformazione del capitalista
realmente operante in semplice dirigente, amministratore
di capitale altrui, e dei proprietari di capitale in puri e
semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari. Anche
quando i dividendi che essi ricevono comprendono linteresse
ed il guadagno dimprenditore, ossia il profitto totale
(poiché lo stipendio del dirigente è o dovrebbe essere semplice
salario di un certo tipo di lavoro qualificato, il cui prezzo sul
mercato del lavoro è regolato come quello di qualsiasi altro
lavoro), questo profitto totale è intascato unicamente a titolo
di interesse, ossia un semplice indennizzo della proprietà del
capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di
riproduzione, così separata dalla funzione del capitale
come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata
dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto
si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui,
risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in
capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori
effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a
tutti gli individui realmente attivi nella produzione, dal
dirigente fino allultimo giornaliero.
Nelle società per azioni la funzione è
separata dalla proprietà [<=] del capitale e per
conseguenza anche il lavoro è completamente separato dalla
proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore. Questo
risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica è
un momento necessario di transizione per la ritrasformazione del
capitale in proprietà dei produttori, non più però come
proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di
essi in quanto associati, proprietà sociale immediata.
(k.m.)
[da Il capitale, III,27]
Circolazione # 1
(comunicazione, velocità, scorte)
Si fa strada lidea che il capitalista
ammassi alla maniera del tesaurizzatore o che immagazzini una
provvista di mezzi di sussistenza, come le api il miele. Ma è un
modo di dire. Non parliamo dei bottegai che vendono mezzi di
sussistenza; naturalmente, essi devono sempre possedere una buona
quantità di scorte. Questo ammassamento non è che lo stadio
intermedio in cui si trova la merce prima di passare dalla circolazione
al consumo: è la sua esistenza sul mercato [<=] come merce
[<=]. Come tale, essa può sussistere solo in questa
forma. Non importa in quali mani si trovi: importa solo che negli
stadi intermedi essa rappresenta scambio di capitale contro
capitale (propriamente, di capitale più un profitto, poiché
nella merce il produttore non vende soltanto il capitale ma anche
il profitto realizzato sul capitale), e nellultimo stadio
eventualmente capitale contro reddito (cioè, quando la
merce è destinata a entrare non nel consumo industriale, ma in
quello individuale). La merce che è ultimata come valore
duso nella forma atta alla vendita si trova come
merce sul mercato nella fase della circolazione:
tutte le merci si trovano in questa fase in quanto devono
percorrere la loro prima metamorfosi, la trasformazione in
denaro.
Se la produzione è svariata e massiccia, e
quindi anche il consumo è tale, sarà maggiore la massa delle
merci più differenti che si trova continuamente in questa sosta,
in questo stadio intermedio, in una parola in circolazione,
ovvero sul mercato. Dal punto di vista della quantità,
grande ammassamento qui non significa altro che
grande produzione e consumo. La sosta delle merci
la loro permanenza in questo momento del processo, la loro
presenza sul mercato invece che nella fabbrica o
nellabitazione privata (come articolo di consumo), e nel
negozio o nel magazzino del bottegaio non è che un
momento fuggevole nel processo della loro vita. Lesistenza
fissa e autonoma di tale mondo di merci, mondo
di cose, è pura parvenza. La sala daspetto è
sempre piena, ma sempre di nuovi viaggiatori. Le medesime merci
ma secondo la specie sono costantemente
ricreate nella sfera della produzione, presenti sul mercato,
afferrate dal consumo. Così, non le stesse identiche
merci, ma merci della medesima specie, si trattengono
sempre contemporaneamente in questi tre stadi. Se lo
stadio intermedio si prolunga, di modo che le nuove merci che
escono dalle diverse sfere di produzione trovano il mercato
ancora occupato dalle precedenti, si determina un affollamento,
un arresto, il mercato è sovraccarico, le merci vengono
svalutate: è la sovraproduzione.
Quando, dunque, lo stadio intermedio della
circolazione si rende autonomo, quando non è soltanto
un arresto della corrente nel suo fluire, quando la presenza
delle merci nella fase della circolazione si manifesta come ammassamento,
questo non è un libero atto del produttore, non è uno scopo o
una fase vitale immanente della produzione proprio come
lafflusso di sangue alla testa che porta il colpo
apoplettico non è una fase immanente della circolazione del
sangue. Il capitale in quanto capitale-merci (così si
manifesta in questa fase della circolazione, sul mercato) non
deve consolidarsi, può rappresentare soltanto una sosta
nel movimento. Altrimenti si turba il processo di
riproduzione. Lintero meccanismo viene alterato. Tanto
piccola è, e può essere, questa ricchezza oggettiva,
apparentemente concentrata in singoli punti, in confronto al
flusso costante della produzione e del consumo. La ricchezza
perciò non reca una data remota: è sempre di ieri.
Daltra parte, se la riproduzione si arrestasse a causa di
una perturbazione, i magazzini ecc. si svuoterebbero; si
verificherebbe una carenza e si vedrebbe immediatamente che la continuità
che la ricchezza esistente sembra possedere non è che la
continuità del suo ricostituirsi, della sua riproduzione,
loggettivazione costante del lavoro sociale.
Presso il bottegaio ha luogo anche la
circolazione semplice [M-D-M]: il fatto che egli realizzi
un profitto qui non ci riguarda. Egli vende la merce e ricompra
la medesima merce (dal punto di vista della specie); la vende al
consumatore e la ricompra dal produttore. La medesima specie di
merce si trasforma qui continuamente in denaro e il denaro si
ritrasforma costantemente nella medesima merce. Ma questo
movimento non rappresenta altro che la riproduzione costante, la
produzione e il consumo costanti, poiché la riproduzione include
il consumo. La merce per poter essere riprodotta deve essere
venduta, cadere nel consumo: essa deve dare buona prova di sé
come valore duso. Infatti, con la scomparsa del suo
portatore il valore duso scompare anche il
valore di scambio, a meno che la scomparsa del valore duso
non sia essa stessa un atto di produzione. Il processo di
riproduzione essendo unità di circolazione e
produzione implica il consumo, che è esso stesso un
momento della circolazione. In realtà, considerando il problema
nel suo complesso, il bottegaio paga la merce al produttore col
medesimo denaro con cui compra da lui il consumatore. Rispetto al
produttore, egli rappresenta il consumatore, e rispetto al
consumatore, il produttore; egli è compratore e venditore della
merce. Dal punto di vista meramente formale, il denaro, in
quanto egli lo usi per acquistare, è in realtà la metamorfosi
finale della merce del consumatore.
Il passaggio della merce nello stadio
intermedio in cui essa permane come merce nella
circolazione in quanto sia la trasformazione della
merce nel denaro del consumatore e la ritrasformazione di questo
denaro, che ora appartiene al bottegaio nella medesima specie di
merce non esprime altro che il passaggio continuo
della merce nel consumo. A tale scopo, infatti, il posto lasciato
vuoto dalla merce che cade nel consumo devessere occupato
dalla merce che proviene dal processo di produzione e che entra
ora in questo stadio. La permanenza della merce nella circolazione
e il suo essere sostituita da nuove merci dipende naturalmente
dal tempo durante il quale le merci si trovano nella sfera
di produzione, vale a dire dalla lunghezza del suo periodo di
riproduzione, e varia a seconda della diversità di questo
periodo. I differenti serbatoi della circolazione
(magazzini, ecc.) sono tanto canali di scarico per la produzione
quanto canali di afflusso per il consumo. Finché si trova qui,
la merce è merce e quindi si trova sul mercato, in
circolazione. Il consumo la sottrae a questi serbatoi solo pezzo
a pezzo, goccia a goccia. La sostituzione, il flusso delle merci
successive che la scacciano, si avrà solo poco a poco, quando
questi serbatoi si svuotano, a misura che si avvicinano le merci
sostitutive.
Se resta uneccedenza e la nuova
produzione è superiore alla media, si avrà un arresto. Lo
spazio che codesta determinata merce deve occupare sul mercato è
sovraccarico. Affinché tutte vi trovino posto, le merci
contraggono i loro prezzi di mercato, e questo le rimette in
moto. Se la loro massa come valori duso è troppo grande,
si adattano allo spazio che debbono occupare con una contrazione
dei loro prezzi. Sebbene sia chiaro che la massa assoluta
delle merci ammassate nei serbatoi della circolazione
aumenti con lo sviluppo dellindustria, perché aumentano la
produzione e il consumo, questa stessa massa, comparata con la
somma stessa della produzione e del consumo, diminuisce. Il passaggio
delle merci dalla circolazione al consumo si abbrevia. E
precisamente per le seguenti ragioni. La velocità della
riproduzione aumenta:
1. Non appena la merce percorre
rapidamente le differenti fasi della sua produzione, il
processo di produzione si abbrevia in ogni fase perché
diminuisce il tempo di lavoro necessario alla produzione della
merce, in ognuna delle sue forme.
2. Sia per lassociazione di
differenti branche daffari, di centri di produzione che si
formano, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione,
la merce passa rapidamente da una fase allaltra; ossia, si
abbrevia il tempo occupato dalla permanenza della merce nello
stadio intermedio tra una fase di produzione e quella successiva,
ossia si accorcia il passaggio da una fase della
produzione allaltra.
3. Tutto questo sviluppo
labbreviazione sia delle fasi di produzione sia del
passaggio da una fase allaltra presuppone la produzione
su larga scala, la produzione di massa, e, nello stesso
tempo, la produzione basata sullimpiego di molto capitale
costante, specialmente di capitale fisso; e quindi il
flusso ininterrotto della produzione: non flusso nel senso
considerato ora (mediante laccostamento e
laddentellarsi delle diverse fasi di produzione), ma nel
senso che nella produzione non hanno luogo pause intenzionali.
Questo processo non aspetta la domanda,
ma è una funzione del capitale. Il capitale continua a
lavorare sempre alla medesima scala (a prescindere
dallaccumulazione e dallespansione) con uno sviluppo
e unestensione costante delle forze produttive. La
produzione, quindi, non solo è rapida, così che la merce
raggiunga velocemente la forma in cui è atta a circolare, ma è
costante. La produzione qui appare solo come riproduzione
continua, e nello stesso tempo è produzione di massa. Se le
merci, perciò, sostano a lungo nei serbatoi della
circolazione se vi si accumulano esse ben presto li
sovraccaricheranno per la rapidità con cui si susseguono le
ondate di produzione e la gran quantità di roba che riversano
continuamente in tali serbatoi. Ma le medesime
necessità che creano questa velocità e questo carattere
di massa della riproduzione, riducono anche la necessità
di raccogliere le merci in codesti serbatoi. In parte
per quanto riguarda il consumo industriale
ciò è già implicito nellavvicinamento reciproco delle
fasi di produzione che la merce stessa o le sue componenti devono
percorrere. Se tali elementi sono prodotti quotidianamente in
grandi quantità, e trasportati fino ai cancelli delle fabbriche,
allindustriale basta tenerne una piccola scorta; o, il che
è lo stesso, se vi è un intermediario,
questultimo, oltre a ciò che vende giorno per giorno e di
cui viene quotidianamente rifornito, ha bisogno solo di una
piccola scorta [just in time].
Ma, a prescindere dal consumo industriale,
in cui le scorte delle merci (cioè, le scorte delle componenti
delle merci) devono diminuire in tal modo, anche il bottegaio
può contare in primo luogo sulla rapidità delle comunicazioni,
in secondo luogo sulla certezza del rinnovo e del rifornimento
rapido e continuo. Quindi sebbene il suo giro daffari possa
aumentare, ogni singola merce si trattiene più brevemente nel
suo magazzino, in questo stadio di passaggio. Rispetto al suo
fatturato, al suo giro daffari, vale a dire rispetto
allentità sia della produzione sia del consumo, la massa
complessiva di merci da lui di volta in volta trattenuta, ammassata
nella sua scorta, è piccola. Un riempimento straordinario dei
serbatoi nella misura in cui non sia dovuto
alla saturazione del mercato, che in queste circostanze si
verifica tuttavia con una facilità infinitamente maggiore di
quando regnava una lentezza patriarcale ha un carattere
meramente speculativo. Daltra parte, si verifica una
continua estensione del mercato, e, nella misura in cui
diminuisce lintervallo di tempo durante il quale la
merce si trova sul mercato, aumenta lespansione,
vale a dire che il mercato si estende in senso spaziale, e
volendo descrivere la periferia della sfera di produzione della
merce rispetto al centro si deve prolungare sempre di più il
raggio. La rapidità della riproduzione è connessa o, meglio, è
solo unaltra espressione del fatto che il consumo vive alla
giornata cambia dabito e biancheria con
la stessa rapidità con cui muta le sue opinioni, e non porta lo
stesso vestito per dieci anni, ecc.
Il consumo, anche per gli articoli in cui
ciò non sia imposto dalla natura del valore duso, è
sempre più simultaneo alla produzione, sempre più
dipendente dal lavoro presente (poiché, di fatto, è
scambio di lavoro coesistente). E ciò nella stessa misura in cui
il lavoro passato diventa un fattore sempre più
importante della produzione, sebbene si tratti di un passato di
fresca data e soltanto relativo. Ecco un esempio di quanto la
necessità di tenere scorte sia legata allinsufficienza
della produzione. Solo laddove entra in circolazione il
prodotto diventa merce. Quindi la circolazione si allarga
straordinariamente con la produzione capitalistica per le
seguenti ragioni: i. la produzione di massa, la quantità,
il carattere di massa, non stanno in alcun rapporto quantitativo
col bisogno del produttore; ii. lunilateralità
qualitativa del prodotto sta in rapporto inverso
allaccresciuta varietà dei bisogni; questa
differenziazione delle merci è duplice: le differenti fasi
di una stessa produzione, come pure i lavori intermedi (richiesti
per le componenti, ecc.), si scompongono in diversi rami di
lavorazione reciprocamente indipendenti (oppure, il medesimo
prodotto si trasforma, nelle diverse fasi o stadi successivi, in differenti
generi di merci); iii. trasformazione della maggioranza
della popolazione in lavoratori salariati, che prima
consumavano una massa di prodotti in natura; iv.
mobilizzazione di una massa di beni, prima
inalienabili, come merci, e creazione di forme
di proprietà che consistono unicamente in titoli; da
un lato, alienazione della proprietà fondiaria, ecc. (anche la
mancanza di proprietà delle masse fa sì che esse si comportino,
a es. nei confronti della loro abitazione, come nei confronti di
una merce); dallaltro, sviluppo del sistema azionario.
[k.m.]
Circolazione # 2
(plusvalore e sovraproduzione)
Perfino Ricardo dice, in alcuni passi, che la
ricchezza consta unicamente di valori duso. Egli
trasforma lì la produzione borghese in mera produzione per il
valore duso, il che è una bella visione di un modo
di produzione dominato dal valore di scambio. Egli
considera così la forma specifica della ricchezza borghese come
qualcosa di puramente formale, che non coinvolge il proprio
contenuto. Quindi nega anche le contraddizioni della
produzione borghese che esplodono nelle crisi [<=]. Di
qui tutta la sua falsa concezione del denaro. Di qui,
inoltre, deriva il fatto che Ricardo nel processo di produzione
del capitale trascura completamente il processo di
circolazione [<= #1], in quanto esso implica la
metamorfosi delle merci, la necessità della trasformazione del
capitale in denaro. Il processo di circolazione cancella,
offusca la connessione con il valore in rapporto al tempo
di lavoro: poiché la massa del plusvalore [<=] qui
è determinata anche dal tempo di circolazione del capitale,
sembra che si introduca un elemento estraneo al tempo di lavoro.
Nel capitale compiuto, che appare come un tutto
unità di processo di circolazione e di produzione,
ossia come una determinata somma di valore che, in un determinato
spazio di tempo, in un determinato segmento di circolazione,
produce un determinato profitto (plusvalore) in questa
figura il processo di produzione e il processo di circolazione
esistono ormai solo come ricordo e come momenti che
determinano uniformemente il plusvalore, velando in tal
modo la sua natura semplice. Il plusvalore adesso
appare come profitto.
Questo profitto: i. è riferito a una
determinata sezione della circolazione, che è differente dal
tempo di lavoro; ii. il plusvalore è calcolato e riferito
non alla parte del capitale da cui immediatamente deriva, ma
indistintamente allintero capitale; in questo modo la sua
fonte è sottratta alla vista; iii. benché in questa
prima forma del profitto la sua massa sia ancora
quantitativamente identica alla massa del plusvalore prodotto dal
singolo capitale, il tasso del profitto, riferito allintero
capitale anticipato, è fin da principio differente dal tasso del
plusvalore, riferito alla sola parte variabile di esso; iv.
presupponendo come dato il tasso di plusvalore, il tasso di
profitto può salire o scendere, perfino in senso contrario al
tasso di plusvalore. Così, nella prima figura del profitto, il
plusvalore ha già una forma che non solo non lascia
immediatamente riconoscere la sua identità col
plusvalore, col pluslavoro, ma anzi sembra contraddirla
immediatamente. Poi, con la trasformazione del profitto in profitto
medio, esso non solo sembra ma è
effettivamente differente dal plusvalore.
Il profitto è determinato dal valore del
capitale anticipato. Il rapporto tra il profitto e la
composizione organica del capitale è completamente cancellato,
irriconoscibile. Con la trasformazione dei valori in prezzi di
costo, la base stessa la determinazione del valore delle
merci mediante il tempo di lavoro in esse contenuto sembra
soppressa. Nella misura in cui il denaro serve a pagare debiti
e non accelera il processo di riproduzione e forse anzi lo
rende impossibile o lo riduce è solo denaro per colui che
lo prende a prestito, mentre per il prestatore è
effettivamente capitale indipendente dal processo del
capitale. In questo caso, linteresse è un fatto
indipendente dalla produzione capitalistica come tale, dalla creazione
di plusvalore. Linteresse è esplicitamente posto come
generato dal capitale, separato, indipendente ed estraneo al
processo capitalistico stesso. In tal modo anche lultima
forma del plusvalore, che in qualche modo rammenta la sua
origine, viene isolata e concepita in una forma non solo
estraniata, ma foggiata in diretta opposizione a essa e
con ciò la natura del capitale e del plusvalore, come della
produzione capitalistica in generale, viene infine completamente
mistificata.
Il capitale, da un rapporto, si
trasforma sempre più in una cosa, ma in una cosa che ha
incorporato, ingoiato, il rapporto sociale, una cosa che si
rapporta a se stessa con una vita e unautonomia fittizie,
un essere sensibilmente sovrasensibile: è la forma
della sua realtà o piuttosto la sua vera forma desistenza.
Ed è la forma in cui vive nella coscienza dei suoi portatori, i
capitalisti, in cui si rispecchia nelle loro idee. Questa forma
fissa e ossificata (metamorfizzata) del profitto e
con ciò del capitale in quanto suo fondamento, suo produttore,
in quanto il capitale si conserva e si accresce nel profitto,
poiché il capitale è la base, la causa, la sostanza, e il
profitto la conseguenza, leffetto, laccidente
è ulteriormente rafforzata nel suo aspetto esteriore dal fatto
che lo stesso processo di perequazione del capitale ne stacca una
parte sotto forma di rendita. Nella scissione del profitto
in interesse [o rendita] e profitto industriale,
la natura del plusvalore (e quindi del capitale) non è solo
cancellata, ma esplicitamente rappresentata come qualcosa di
completamente differente [nuova economia]. In
queste forme del plusvalore, la natura del plusvalore,
lessenza del capitale e il carattere della produzione
capitalistica sono quindi non solo completamente cancellati, ma
rovesciati nel loro contrario. Daltra parte, il carattere e
la figura del capitale sono compiuti come soggettivizzazione
delle cose, reificazione di soggetti, inversione di
causa ed effetto, quiproquo religioso, quando la forma
pura del capitale D-D [a es., quella che opera in
borsa] è rappresentata ed espressa in maniera insensata, senza
alcuna mediazione [<=].
Allora anche lossificazione dei
rapporti, la loro rappresentazione come un rapporto tra uomini e
cose, dotato di un determinato carattere sociale, è ben diversa
che nella semplice mistificazione della merce e in quella, già
più complicata del denaro. La transustanziazione, il feticismo
è compiuto. Linteresse riassume il carattere estraniato
delle condizioni di lavoro in rapporto allattività del
soggetto. Rappresenta la mera proprietà [<=]
del capitale come mezzo per appropriarsi dei prodotti del lavoro
altrui in quanto dominio sul lavoro altrui che gli
spetta al di fuori del processo di produzione e che non è
affatto il risultato della specifica determinatezza di questo
processo di produzione stesso. Non lo rappresenta in antitesi al
lavoro ma, al contrario, senza alcuna relazione con il lavoro e
come mero rapporto tra un capitalista e laltro. Quindi come
una determinazione esteriore e indifferente al rapporto tra
capitale e lavoro. La ripartizione del profitto tra i capitalisti
è indifferente al lavoratore come tale. In realtà,
linteresse [insieme alla rendita] presuppone il profitto,
di cui è soltanto una parte, e per il lavoratore salariato
è perciò del tutto indifferente il modo in cui il plusvalore
si divide in interesse e profitto, si ripartisce tra
diverse specie di capitalisti.
In gran parte il profitto del capitalista
trattandosi di espropriazione di altri
capitalisti, campo in cui loperare individuale del singolo
capitalista ha mano particolarmente libera, e non trattandosi
invece di creazione di plusvalore deriva dalla
distribuzione del profitto complessivo dellintera classe
dei capitalisti tra i suoi singoli membri, nel campo
mercantile. Certe specie di profitto per
esempio quelle fondate sulla speculazione [<=]
si muovono unicamente in questo campo. Ciò che mostra la
bestiale stupidità delleconomia volgare è che essa lo
confonde con il profitto che deriva dalla creazione di plusvalore
(da parte del capitale operante [<=]). Trattandosi di
simili asini, è naturale che confondano le spese di calcolo e le
cause di compensazione dei capitalisti nella distribuzione
del profitto complessivo dellintera classe dei capitalisti
con ragioni per lo sfruttamento dei lavoratori da parte
dei capitalisti stessi, con le cause, per così dire genetiche,
del profitto come tale.
[k.m.]
Civiltà
(superiorità delloccidente)
La Dialettica dellilluminismo è
uscita nel 1947. Se ora ripubblichiamo lopera dopo
ventanni è per la consapevolezza che non poche delle idee
ivi espresse sono ancora oggi del tutto valide. Il libro fu
composto in un momento in cui si poteva prevedere la fine del
terrore nazionalsocialista. Nel periodo della scissione politica
in enormi blocchi obiettivamente spinti a scontrarsi, lorrore
permane. I conflitti nel terzo mondo e il risorgere del
totalitarismo [<=] non sono dei puri incidenti storici così
come non lo era, secondo la Dialettica, il fascismo di
allora. Levoluzione, analizzata nel libro, verso
unintegrazione totale, è interrotta ma non troncata;
essa minaccia di attuarsi attraverso guerre e dittature. Il libro
diventa un documento, ma noi speriamo che sia al contempo
qualcosa di più [dalla Premessa allultima edizione
tedesca (1969), di Max Horkheimer - Theodor W. Adorno].
È venuto meno il concetto stesso di vita
umana come unità della storia di un uomo: la vita del singolo è
definita ormai solo dal suo opposto, la distruzione, ma ha
perduto ogni armonia e coerenza, ogni ricordo consapevole e
memoria involontaria ha perduto il significato. Gli
individui si riducono alla pura successione di presenti puntuali,
che non lasciano traccia, o le cui tracce sono per loro oggetto
di odio, come irrazionali, superflue, e superate nel senso più
letterale. Come è sospetto ogni libro che non sia appena uscito,
come il pensiero della storia, al di fuori della scienza
specializzata, innervosisce i tipi attuali, così li manda in
bestia il passato delluomo. Ciò che uno è stato e
sperimentato un tempo, è annullato di fronte a ciò che è, ha,
o a cui può servire adesso.
Il primo consiglio, tra benevolo e
minaccioso, che si impartisce spesso allemigrato, e cioè
quello di dimenticare completamente il passato, dal momento che
non può trasferirlo con sé, di farci una croce sopra e di
cominciare senzaltro una nuova vita, vorrebbe infliggere
dautorità allintruso, sentito come un essere
spettrale, ciò che si è appreso da tempo a fare a sé stessi.
Si soffoca la storia in sé e negli altri, per timore che possa
rammentare lo sfacelo della propria esistenza che consiste
a sua volta, in larga misura, nella rimozione della storia. Ciò
che accade a tutti i sentimenti, lesclusione di tutto ciò
che non ha un valore di mercato, accade nel modo più brutale a
quello da cui non si può ottenere neppure la ricostituzione
psicologica della forza-lavoro, al lutto. Che diventa lo stigma
della civiltà, sentimentalismo asociale, che dimostra che non si
è ancora riusciti del tutto a inchiodare gli uomini al regno
degli scopi. Così il lutto viene sfigurato più di ogni altra
cosa, ridotto coscientemente alla formalità sociale che la bella
salma è sempre stata, in larga misura, per gli uomini induriti.
Si infligge in realtà ai morti ciò che per gli antichi ebrei
era la maledizione più tremenda: nessuno si ricorderà di te.
Gli uomini sfogano sui morti la loro disperazione di non
ricordarsi nemmeno di sé stessi.
La resistenza della natura esterna, a cui
risale in definitiva la pressione, si prolunga nella società
attraverso le classi [<=] e agisce su ogni individuo,
fin dallinfanzia, come durezza degli altri. Gli uomini sono
molli quando vogliono qualcosa dai più forti; duri e brutali
quando ne sono richiesti dai più deboli. È questa la chiave del
carattere nella società come è stata finora. La conclusione che
il terrore [<=] e la civiltà sono inseparabili,
tratta dai conservatori, è solidamente fondata.
Lo sviluppo della civiltà si è compiuto
allinsegna del carnefice. Non ci si può disfare del terrore
e conservare la civiltà. Attenuare il primo è già
linizio della dissoluzione. Di qui si possono trarre le
conseguenze più diverse: dal culto della barbarie fascista [o in
versione berlusconiana] alla fuga rassegnata nei gironi infernali
[Dante, Inferno, c. III]. Ma se ne può trarre anche
unaltra: non curarsi della logica, quando è contro
lumanità.
Sotto la storia nota dellEuropa corre
una storia sotterranea. Essa consiste nella sorte degli istinti
e delle passioni umane represse e sfigurate dalla civiltà.
Colpito dalla mutilazione è soprattutto il rapporto col corpo.
La divisione del lavoro, in cui la fruizione è finita da una
parte e il lavoro dallaltra, ha colpito dinterdetto
la forza bruta. Come lo schiavo, anche il lavoro ebbe un marchio.
Il cristianesimo ha esaltato il lavoro [<=], ma ha
umiliato tanto più, in compenso, la carne come origine di ogni
male.
Cerano due razze per natura, i
superiori e gli inferiori. La liberazione dellindividuo
europeo è avvenuta nel quadro di una generale trasformazione
culturale che ha scavato tanto più a fondo la scissione
nellanimo dei liberati, quanto più si attenuava la
coazione fisica dallesterno. Lodio-amore per il
corpo tinge di sé tutta la civiltà moderna. Il corpo, come ciò
che è inferiore e asservito, viene ancora deriso e maltrattato,
e insieme desiderato come ciò che è vietato, reificato,
estraniato. Solo la civiltà conosce il corpo come una cosa che
si può possedere, solo in essa esso si è separato dallo spirito
quintessenza del potere e del comando come oggetto,
cosa morta, corpus.
Il corpo fisico non si può più
ritrasformare in corpo vivente. Rimane un cadavere, per quanto
possa essere allenato e irrobustito. La trasformazione in cosa
morta, che si delinea nel suo nome, fa parte del processo
costante che ha ridotto la natura a materiale e materia. Le opere
della civiltà sono il frutto della sublimazione, dellodio-amore
acquisito verso il corpo e la terra, da cui il dominio ha
avulso tutti gli uomini. Ma lassassinio, il sicario, i
giganti abbrutiti, adoperati segretamente come giustizieri dai
potenti legali e illegali, grandi e piccoli, ... tutti i lupi
mannari che vivono nel buio della storia e tengono desta la
paura, senza la quale non ci sarebbe il dominio: in loro
lodio-amore per il corpo è brutale e immediato, essi
violano tutto quello che toccano, distruggono ciò che vedono in
luce, e questa distruzione è il rancore per la reificazione;
essi ripetono, con cieca furia, sulloggetto vivente, ciò
che non possono più fare che non sia accaduto: la scissione
della vita nello spirito e nel suo oggetto. Luomo li attrae
irresistibilmente; lo vogliono ridurre al corpo, nulla deve avere
il diritto di vivere. Questa ostilità degli infimi già
accuratamente coltivata e protetta dai superiori, laici e
ecclesiastici per la vita atrofizzata in loro, con cui
essi in modo omosessuale e paranoico, entrano in contatto
attraverso lomicidio, è sempre stato uno strumento
indispensabile dellarte di governo. Lostilità degli
schiavi verso la vita è una forza inesauribile della sfera
notturna della storia.
[m.h.-t.a.]
(da Max Horkheimer - Theodor W. Adorno,
Dialettica dellilluminismo, 1947)
Classe # 1
(definizione)
È di moda, soprattutto nei tempi di
indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi
[<=] e, a fortiori, della lotta di classe [<=].
Che ciò sia fatto dallideologia dominante è ovvio; che
tale predica venga assimilata e ripetuta acriticamente dagli
esponenti dellasinistra è conseguenza
necessaria proprio di quello stesso dominio di classe
solido e pericoloso che costoro vorrebbero far
credere di esorcizzare. E la faccenda non è recente, se già
Marx si sentì in dovere di precisare, nel poscritto alla
seconda edizione del primo libro del Capitale, che
leconomia politica, in quanto concepisce
lordinamento capitalistico come forma assoluta e
definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza
soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si
manifesta soltanto in fenomeni isolati. Dal momento in cui la
lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria,
forme via via più pronunciate e minacciose, per la scienza
economica borghese quella lotta suonò la campana a morte. Ora
non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero
o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale,
se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati
subentrarono pugilatori a pagamento, allindagine
scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la
malvagia intenzione dellapologetica. Del resto, che
la lotta di classe appaia spenta agli occhi dei proletari è
inevitabile in momenti in cui la parte attiva di codesta lotta
venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in crisi,
e non sia più svolta se non marginalmente dal proletariato
stesso. Tutto ciò non esime dal riconoscere le contraddizioni
del modo di produzione capitalistico, il persistere della lotta
delle classi che lo costituiscono e, anzitutto, lesistenza
e la riproduzione delle classi stesse.
In prima istanza, dal punto di vista della
base economica del modo di produzione capitalistico, la
definizione di classe sociale può essere immediatamente
circoscritta allomogeneità di funzione svolta dai diversi
soggetti nel processo di produzione. Lidentità funzionale
individua lappartenenza alluna o allaltra classe
in sé, oggettivamente identificata. Tale appartenenza,
pertanto, non pertiene alla sfera empirica del tipo di attività
svolta, né dellammontare di reddito percepito, né
tantomeno può corrispondere biunivocamente con i singoli
individui empirici. Essa è, per lappunto, oggettiva e
trascende il soggetto individuale in quanto un medesimo
soggetto può svolgere più di una funzione nel processo di
produzione, con diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la
sua appartenenza a quella o quellaltra classe dipende da
quale sua figura prevalga sulle altre, da quella che ne determina
in prima istanza il ruolo e la funzione sociale. Dunque,
nel modo di produzione capitalistico che sta a fondamento delle
formazioni economiche sociali moderne a dominanza borghese, la
prima e principale divisione funzionale al processo di
produzione medesimo mette: da un lato, la classe di coloro
che sono proprietari [<=] delle condizioni oggettive
della produzione, in quanto non produttori, ossia tali
che per definire la loro funzione peculiare non è necessario
che essi partecipino attivamente alla produzione stessa;
dallaltro, la classe di coloro che sono
effettivamente i produttori della ricchezza sociale
nella forma storica data, in quanto non proprietari di
quelle condizioni della produzione, pur se accidentalmente e
parzialmente possano esserlo.
La predominanza delluna o
dellaltra funzione fa sì che i soggetti sociali siano
identificabili, nel primo caso, con la classe dei
capitalisti (in senso lato) e, nel secondo, con la classe
dei proletari (o lavoratori salariati, in senso lato). È
altresì ovvio che una siffatta definizione funzionale di classe,
come insieme omogeneo di soggetti per riguardo al processo di
produzione, sia adeguata anche ai modi di produzione che hanno
preceduto quello capitalistico, tenendo tuttavia presente che
nelle epoche passate diverse erano le classi costitutive delle
varie formazioni sociali poiché diversa era la finalità del
processo di produzione e che, proprio in ragione di ciò, solo
nella forma capitalistica le classi si presentano come tali,
nella loro elementarità, senza trasmutarsi e cristallizzarsi
nella parvenza di ordini o caste in forza
di superfetazioni metaeconomiche. Solo sulla base di una tale
divisione nelle due classi principali della società moderna si
può costruire una successiva, e necessaria, articolazione che
sia ancora economica, ma anche sociologica e culturale o perfino
comportamentale.
Innanzitutto, come accennato, nulla vieta che
un medesimo individuo sia al contempo proprietario e
produttore, come potrebbe essere lartigiano, il
coltivatore diretto, o anche il capitalista che lavora nella
propria impresa o il salariato (operaio, bracciante o impiegato)
che possiede qualche mezzo di produzione. Ma la sovrapposizione
casuale di più funzioni non impedisce di comprendere sia
che nella generalità dei casi ciò non caratterizza il modo di
produzione capitalistico, ma solo le sue diverse forme empiriche
di esistenza economica sociale, sia di individuare nel caso di
una simile sovrapposizione, accidentale transitoria o residuale,
quale funzione debba essere ritenuta quella qualificante e
determinante. In secondo luogo, perciò, è facile trovare una
gran varietà di forme di passaggio, intermedie tra le due
classi principali della società moderna, tali da
rappresentare altre classi, sottoclassi, ceti o gruppi in cui
praticamente si articola questa formazione sociale. Ma, in terzo
luogo, infine, nessuno può dubitare che ancora oggi e per
tutta la vigenza in forma dominante del modo di produzione
capitalistico si riproduca in maniera sempre più polarizzata
la divisione tra proprietari non produttori (capitalisti
industriali, percettori di profitto e interesse, nella cui
classe vanno generalmente ricomprese anche le forme moderne
assunte dai capitalisti monetari e dai capitalisti commerciali,
e proprietari fondiari, percettori di rendita) e
produttori non proprietari (lavoratori salariati
o proletari, percettori appunto di salario, in qualsiasi forma
esso sia travestito). Nessuno può disconoscere tuttora
lesistenza di tali classi, su scala mondiale, e le
contraddizioni e gli antagonismi che esse mettono in movimento.
È bene che la specificazione del concetto di classe e della
sua formazione storica, così come lanalisi delle classi
realmente esistenti e la loro composizione, siano lasciate alle
parole stesse di Marx e dei marxisti.
[gf.p.]
Classe # 2
(concetto e formazione)
I proprietari della semplice forza-lavoro, i
proprietari del capitale e i proprietari fondiari, le cui
rispettive fonti di reddito sono salario, profitto e rendita
fondiaria, in altre parole i lavoratori salariati, i capitalisti
e i proprietari fondiari costituiscono le tre grandi classi
[<=] della società moderna, fondata sul modo di produzione
capitalistico. Tuttavia la stratificazione delle classi non
appare mai nella sua forma pura. Fasi medie e di transizione
cancellano tutte le linee di demarcazione. Ma per lanalisi
delle classi ciò è irrilevante. Che cosa costituisce una
classe? A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto
allidentità dei loro redditi e delle loro fonti di
reddito. Tuttavia da questo punto di vista, anche i medici, a
es., e gli impiegati verrebbero a formare due classi, poiché
essi appartengono a due distinti gruppi sociali. Lo stesso
varrebbe per linfinito frazionamento di interessi e di
posizioni, creato dalla divisione sociale del lavoro. Non è
necessario, però, per enucleare le leggi delleconomia
borghese le leggi di unepoca che ha sostituito, alle
antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove
forme di lotta, distinguendosi così dalle altre epoche per aver semplificato
gli antagonismi di classe, scindendo lintera società
sempre più in due grandi campi nemici, due grandi
classi direttamente contrapposte luna allaltra:
borghesia e proletariato scrivere la storia reale dei rapporti
di produzione.
Le condizioni originarie della produzione non
possono essere prodotte esse stesse. Proprietà [<=]
significa, originariamente, nientaltro che il rapporto
delluomo con le condizioni naturali della produzione in
quanto gli appartengono, presupposte con la sua stessa
esistenza, rapporto con esse in quanto presupposti naturali.
Originariamente, dunque, proprietà significa rapporto del
soggetto che lavora, produce e si riproduce, con le condizioni
oggettive della sua produzione o riproduzione in quanto
gli appartengono. Non è lunità degli uomini
viventi e attivi con le condizioni naturali del loro ricambio
materiale con la natura, che ha bisogno di una spiegazione o che
è il risultato di un processo storico, ma la separazione
di queste condizioni oggettive dellesistenza umana da
questa esistenza attiva, una separazione che si attua pienamente
soltanto nel rapporto tra lavoro salariato e capitale.
La tendenza costante e la legge di sviluppo del modo di
produzione capitalistico è di separare in grado sempre maggiore
i mezzi di produzione dal lavoro e di concentrare
progressivamente in larghi gruppi i mezzi di produzione
dispersi, trasformando con ciò il lavoro in lavoro
salariato ed i mezzi di produzione in capitale.
Questi sono i presupposti storici necessari
per trovare il lavoratore come lavoratore salariato, come
lavoratore libero libero in due sensi: libero dagli
antichi rapporti di servitù o di dipendenza personale, e inoltre
libero da ogni forma di esistenza oggettiva e materiale, libero
da ogni proprietà ossia, come capacità
lavorativa puramente soggettiva che si contrappone alle
condizioni oggettive della produzione come alla sua non
proprietà, come a proprietà altrui, a capitale. Si
presuppongono processi storici che consistono nella separazione
di elementi uniti, condizioni oggettive della produzione e
del lavoro terra, materia prima, mezzi di sussistenza,
strumenti di lavoro, denaro, o tutto ciò insieme dal lavoro
stesso, dal loro tradizionale legame con gli individui che ne
sono stati poi staccati. Ciò presuppone un processo di dissoluzione
il cui risultato non è la scomparsa di uno degli elementi, ma la
comparsa di ciascuno di questi in una relazione negativa
con laltro, in cui siano mutate soltanto le condizioni
della loro proprietà e del loro modo di esistenza. Si considera
un processo storico che abbia reso la massa dellumanità
affatto priva di proprietà e labbia posta altresì
in contraddizione con un mondo esistente della ricchezza e della
cultura, separando il lavoratore libero (potenzialmente)
da una parte e il capitale (potenzialmente)
dallaltra. La separazione delle condizioni oggettive
dalle classi che sono state trasformare in lavoratori
liberi, salariati, deve presentarsi altresì come
autonomizzazione di queste stesse condizioni al polo opposto.
La storia di ogni società esistita finora è
storia di lotte di classe [<=]. Nelle epoche anteriori
della storia troviamo quasi dappertutto una completa
articolazione della società in diversi ordini, una
molteplice graduazione delle posizioni sociali: liberi e
schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri
delle corporazioni e garzoni, e per di più anche particolari
graduazioni in quasi ognuna di queste classi. Per il solo fatto
che è una classe e non più un ordine, la
borghesia è costretta a organizzarsi non più localmente ma
nazionalmente, e a dare una forma generale al suo interesse.
Dalle numerose borghesie locali delle singole città sorse assai
lentamente la classe borghese, attraverso condizioni di
vita che erano comuni a tutti i borghesi e indipendenti da
ciascun individuo singolo. Con lo stabilirsi dei collegamenti
delle singole città queste condizioni comuni si svilupparono per
diventare condizioni di classe. Con lo sfruttamento del mercato
mondiale la borghesia ha dato unimpronta cosmopolitica
alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Dove ha raggiunto
il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita
feudali, patriarcali, idilliache. Ha dissolto la dignità
personale nel valore di scambio e ha messo lo sfruttamento
aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento
mascherato di illusioni religiose e politiche. La borghesia ha
spogliato della loro aureola tutte le attività che erano
considerate degne di venerazione e di rispetto: ha tramutato il
medico, il giurista, il prete, il poeta, luomo della
scienza, in suoi salariati. Si dissolvono tutti i rapporti
stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti
antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi
invecchiano prima di potersi fissare.
Le condizioni economiche poste dal
medesimo processo storico avevano dapprima trasformato
la massa della popolazione in lavoratori liberi. La
dominazione del capitale ha creato a questa massa una situazione
comune e interessi comuni. Così questa massa è già in
sé una classe nei confronti del capitale, ma non lo
è ancora per sé. Nella lotta questa classe si riunisce e
si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa
difende diventano interessi di classe. Quando il proletariato
annuncia la dissoluzione dellordine esistente, non fa altro
che rivelare il segreto della sua propria esistenza, dato che
esso è già di fatto la dissoluzione di questo ordine. Quando il
proletariato rivendica la negazione della proprietà
privata, non fa che innalzare a principio della società ciò
che la società ha innalzato a principio del proletariato. Questa
forma storica della proprietà privata è costretta a mantenere
in essere se stessa e con ciò il suo termine antitetico, il
proletariato: questo è il lato positivo
dellantitesi. Invece il proletariato è costretto a negare
se stesso e con ciò il termine antitetico che lo condiziona e lo
fa proletariato, e cioè la proprietà privata. La classe
proprietaria e la classe del proletariato rappresentano la stessa
autoestraneazione umana. Ma la prima classe si sente
completamente a suo agio in questa autoestraneazione, sa che
lestraneazione è la sua propria potenza ed ha in essa la
parvenza di unesistenza umana; la seconda si sente
annientata nellestraneazione, vede in essa la sua
impotenza, e la realtà di unesistenza non umana.
Essa, per usare unespressione di Hegel, è
nellabiezione la ribellione contro questa abiezione,
ribellione a cui essa è necessariamente spinta dalla
contraddizione della sua natura umana con la situazione della sua
vita che è la negazione aperta, decisa, assoluta di questa
natura. In seno allantitesi, dunque, il proprietario
privato è il partito della conservazione ed il proletario il
partito della distruzione. Il primo lavora alla conservazione
dellantitesi, il secondo alla sua distruzione. La lotta
di classe contro classe è una lotta politica.
La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere
dello stato. Non basta che le condizioni di lavoro si
presentino come capitale a un polo e che allaltro polo si
presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria
forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a
vendersi volontariamente. Man mano che la produzione
capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per
educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali
ovvie le esigenze di quel modo di produzione.
Lorganizzazione del processo di produzione capitalistico
sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una
sovrapopolazione relativa tiene la legge della domanda e
dellofferta di lavoro, e quindi il salario, entro un
binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del
capitale; la silenziosa coazione dei bisogni del capitale
appone il suggello al dominio del capitalista sul salariato. Si
continua a usare la forza extraeconomica, immediata, solo per
eccezione. Per il corso ordinario delle cose il lavoratore
salariato può rimanere affidato alle leggi naturali della
produzione, cioè alla sua dipendenza dal capitale, che
nasce dalle stesse condizioni della produzione che viene
garantita e perpetuata da esse. I singoli individui formano
una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune
contro unaltra classe; per il resto essi stessi si
ritrovano luno di contro allaltro. Quanto più una
classe dominante è capace di assimilare gli uomini migliori
delle classi dominate, tanto più solida e pericolosa è la sua
dominazione. Lorganizzazione dei proletari in classe e
quindi in partito politico torna a essere spezzata ogni momento.
[k.m.]
Classi
(analisi e composizione)
Di tutte le classi che oggi stanno di
fronte alla borghesia, solo il proletariato è una
classe veramente rivoluzionaria. Laristocrazia feudale
non è la sola classe che abbia visto le proprie condizioni di
vita paralizzarsi e morire nella moderna società borghese. Nella
produzione capitalistica, la determinatezza sociale economica
dei mezzi di produzione il fatto che essi esprimano un
determinato rapporto di produzione si è talmente
sviluppata insieme allesistenza materiale di questi mezzi
di produzione in quanto tali, e ne è così inseparabile nel
modo di pensare della società borghese, che quella
determinatezza (categorica) si applica anche nel caso in cui il
rapporto sia direttamente in contraddizione con essa. Il contadino
indipendente, o lartigiano, viene diviso in due
persone: in quanto proprietario dei mezzi di produzione è
capitalista e in quanto lavoratore è salariato di se stesso,
cioè egli sfrutta se stesso come salariato e si paga il
plusvalore. Parlando di piccoli contadini, ci si riferisce al
proprietario di un pezzetto di terra, non più grande di quello
che di regola egli è in grado di lavorare insieme alla sua
famiglia. Questo piccolo contadino, al pari del piccolo
artigiano, è dunque un lavoratore che si differenzia dal
moderno proletario per il fatto di essere ancora proprietario
dei suoi mezzi di lavoro; si tratta quindi di una
sopravvivenza di un modo di produzione ormai trascorso. Il
possesso dei mezzi di produzione da parte dei singoli produttori
oggigiorno non fornisce loro più alcuna libertà [<=]
reale. Lartigianato nelle città è già andato in rovina.
Il piccolo contadino che coltiva direttamente la propria terra
non ne ha una proprietà sicura e non è libero: è nelle mani
degli usurai e la sua esistenza è malsicura.
Nei paesi dove la civiltà moderna si è
sviluppata, si è formata una nuova piccola borghesia,
che oscilla tra il proletariato e la borghesia e si viene sempre
ricostituendo come parte integrante della società borghese. La
classe dei piccoli commercianti e bottegai ha dunque una
posizione intermedia. I suoi componenti, però, vedono
avvicinarsi il momento in cui spariranno completamente come
parte autonoma della società odierna e saranno sostituiti nel
commercio, nella manifattura e nellagricoltura, da
ispettori e agenti salariati. I ceti medi, i piccoli industriali,
i negozianti, gli artigiani, gli agricoltori, i contadini, la
gente che vive di piccola rendita, tutte queste classi
soccombono nella concorrenza con i capitalisti più grandi,
perdono il loro valore in confronto con i nuovi modi di
produzione e combattono la borghesia per salvare dalla rovina la
loro esistenza di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma
conservatori. Ancora di più, essi sono reazionari, essi tentano
di far girare allindietro la ruota della storia. La piccola
borghesia mira a una trasformazione delle condizioni sociali
che le renda possibilmente sopportabile e comoda la società
esistente. Essa esige quindi soprattutto una riduzione della
spesa statale attraverso una limitazione della burocrazia e il
trasferimento delle imposte principali sui grandi proprietari
terrieri e sulla grande borghesia. Essa esige inoltre
leliminazione della pressione che il grande capitale
esercita sul piccolo, a mezzo di istituti di credito pubblici e
di leggi contro lusura, cosicché a essa e ai contadini
divenga possibile ottenere prestiti a condizioni vantaggiose.
Quanto al sottoproletariato, che
rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della
vecchia società, esso viene qua e là gettato nel movimento da
una rivoluzione proletaria; ma per le sue stesse condizioni di
vita esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettersi al
servizio di mene reazionarie. Questo mazzo di elementi
squalificati di tutte le classi, che pianta il suo quartier
generale nelle grandi città, è il peggiore di tutti i possibili
alleati. Una parte della borghesia desidera portar rimedio
ai mali della società per assicurare lesistenza della
società borghese. [I membri dellintellighentsia
sono divisi dal proletariato anche a causa della loro ideologia.
Provenendo da àmbiti borghesi, essi portano con sé una
concezione borghese del mondo, che è stata ulteriormente
rafforzata dal loro studio teorico. (a.p.)]. Ne fanno
parte gli economisti, i filantropi, gli umanitari, gli zelanti
del miglioramento delle condizioni delle classi operaie, gli
organizzatori della beneficienza, i membri delle società
protettrici degli animali, i fondatori delle società di
temperanza, filosofi, semifilosofi e begli spiriti, e tutta la
variopinta schiera dei minuti riformatori. Lo sviluppo della
produzione capitalistica rende necessario un aumento continuo
del capitale collocato in unimpresa, e la concorrenza
impone a ogni capitalista individuale le leggi immanenti del
modo di produzione capitalistico come leggi coercitive
esterne. Con lo sviluppo della produzione capitalistica la scala
della produzione viene determinata in grado sempre maggiore dal
volume del capitale, dallimpulso di valorizzazione e
dalla necessità della continuità e dellampliamento del
processo di produzione. Nella misura in cui si sviluppano la
produzione e laccumulazione capitalistica, si sviluppano la
concorrenza e il credito. La centralizzazione [<=]
completa lopera dellaccumulazione e la cresciuta
dimensione costituisce ovunque il punto di partenza di una più
ampia organizzazione del lavoro complessivo di molti.
La produzione capitalistica stessa ha fatto
sì che il lavoro di direzione, completamente distinto
dalla proprietà del capitale, vada per conto suo; le società
per azioni, sviluppatesi con il sistema creditizio, hanno in
generale la tendenza a separare sempre più questo lavoro di
amministrazione. Il salario di amministrazione appare
completamente distinto dal guadagno dimprenditore. Tuttavia
si sviluppa nelle società per azioni un nuovo imbroglio per
quanto riguarda il salario damministrazione, poiché
accanto e al di sopra del dirigente effettivo si presentano una
quantità di consiglieri di amministrazione e di controllo,
per i quali in realtà amministrazione e controllo diventano
semplice pretesto per depredare gli azionisti e arricchire se
stessi. Che lanima del nostro sistema
industriale non siano i capitalisti industriali ma i
dirigenti (managers) è già stato messo in rilievo dal
sig. Ure. È diventato dunque inutile che questo lavoro di
direzione venga esercitato dal capitalista. Si sa che un
direttore dorchestra non ha affatto bisogno di essere
proprietario degli strumenti dellorchestra, come pure che
non appartiene alla sua funzione di direttore di occuparsi in
qualche modo del salario degli altri musicisti. Ma
poiché il semplice dirigente, che non possiede il capitale
sotto alcun titolo, esercita tutte le funzioni effettive, rimane
unicamente il funzionario. Le diverse forme di questo lavoro
sono un momento necessario del processo capitalistico di
produzione nella sua totalità, in cui esso comprende
anche la circolazione [<=], o è da essa compreso. Le
contraddizioni sviluppate nella circolazione delle merci,
e più ampiamente nella circolazione del denaro, si
riproducono da sé nel capitale, poiché di fatto solo sulla
base del capitale ha luogo una sviluppata circolazione di merci e
denaro. Nellessenza della produzione capitalistica è
insita quindi una produzione senza riguardo ai limiti del
mercato. La circolazione del capitale è la metamorfosi che il
valore subisce attraversando diverse fasi. Le spese di
circolazione si risolvono nelle spese che sono necessarie per
realizzare il valore delle merci, per trasformarlo da merci in
denaro.
La natura del capitale e della produzione
basata su di esso consiste in questo: che il tempo di
circolazione diventa un momento determinante ai fini del tempo
di lavoro. Il tempo che questo processo dura o costa a essere
impiantato, appartiene ai costi di produzione della
circolazione, alla produzione basata sullo scambio, sulla
divisione del lavoro. Il tempo di lavoro che i capitalisti
industriali perdono vendendosi fra di loro le merci non muta di
carattere per il fatto che esso viene a gravare sul commerciante
anziché sul capitalista industriale. Quando lestensione
degli affari impone o mette loro in grado di assoldare come
lavoratori salariati propri agenti della circolazione
cioè quando i capitalisti anziché compiere essi stessi
quel lavoro ne fanno laffare esclusivo di terze persone da
essi pagate sostanzialmente il fenomeno non è mutato.
Mediante la divisione del lavoro, una funzione che è un momento
necessario della riproduzione viene trasformata da
unoccupazione accessoria di molti nelloccupazione
esclusiva di pochi. Forza-lavoro e tempo di lavoro devono
essere spesi in certo grado nel processo di circolazione. Il
tempo e il lavoro usato per portare a compimento il prodotto
costituiscono delle condizioni di produzione. Il non-tempo di
lavoro nella produzione costituisce una condizione del tempo di
lavoro, una condizione per fare realmente di questultimo
il tempo di produzione.
Il capitale sborsato in questi costi
compreso il lavoro da esso comandato appartiene ai falsi
costi della produzione capitalistica. Cresce
necessariamente la massa del prodotto che si trova sul mercato
come merce, cresce la massa di capitale fissata più o meno a
lungo nella forma di capitale-merce, e la maggior parte della
società si trasforma in lavoratori salariati. Anche se i
diversi produttori scientifici o artistici, artigiani o
professionisti, lavorano per un capitale comune, in un rapporto
che non ha niente a che fare col modo di produzione capitalistico
vero e proprio, ciò daltra parte non impedisce nemmeno
che il rapporto in cui si trova ognuna di queste persone presa
singolarmente sia quello del salariato rispetto al capitale, in
cui scambiano immediatamente il lavoro col denaro in
quanto capitale. Tutti questi momenti provengono dalla forma
della produzione e dal mutamento di forma in esso
contenuto. Con lo sviluppo della sottomissione reale del
lavoro al capitale e quindi del modo di produzione
specificamente capitalistico, il vero funzionario del
processo lavorativo totale non è il singolo lavoratore, ma una
forza-lavoro sempre più socialmente combinata. Le
diverse forze-lavoro cooperanti partecipano in modo diverso al
processo di produzione e valorizzazione chi lavorando
piuttosto con la mano e chi piuttosto col cervello, chi come
direttore, ingegnere, tecnico, ecc., chi come sorvegliante,
manovale o semplice aiuto.
Per effetto dello sviluppo della forza
produttiva del lavoro il reddito cresce a tal punto che il
borghese ha bisogno di più servitori di prima:
questa progressiva trasformazione di una parte degli operai in
servi è una bella prospettiva! Sulla nuova base in cui
è necessario meno lavoro vivo in rapporto a quello passato
anche i lavoratori esclusi e pauperizzati, e la parte
dellincremento della popolazione [<=], o
vengono assorbiti dallampliamento degli affari nelle stesse
industrie o in nuovi settori di occupazione aperti dal nuovo
capitale e che soddisfano nuovi bisogni: questa è la seconda
bella prospettiva, per cui la classe lavoratrice deve sopportare
tutti gli inconvenienti temporanei licenziamenti e
mobilità ma senza che ciò ponga fine al lavoro
salariato, che anzi viene riprodotto su scala sempre
crescente. Labbassamento del costo dei bisogni vitali
immediati consente di ampliare lambito della produzione
di lusso, cosicché gli operai hanno questa terza bella
prospettiva: che, per procurarsi la stessa quantità dei loro
oggetti di prima necessità, metteranno in grado le classi più
elevate di estendere, raffinare e diversificare làmbito
dei godimenti di costoro, e di approfondire così labisso
economico, sociale e politico che li separa da quelli che
stanno meglio di loro. Queste sono le contraddizioni da cui
deriva il continuo accrescimento delle nuove classi medie
che si trovano nel mezzo tra lavoratori da una parte e
capitalisti e proprietari fondiari dallaltra, che si
nutrono direttamente in sempre maggior ampiezza del reddito
nazionale e che gravano come un peso sulla sottostante base
lavoratrice, aumentando la sicurezza e la potenza sociale dei
diecimila sovrastanti.
Tra la borghesia e il proletariato esistono
numerosi strati intermedi i quali progressivamente, con
gradazioni quasi impercettibili, conducono da una classe
allaltra. In parte si tratta di classi di recente
formazione, di ufficiali e sottufficiali degli eserciti
industriali: da capi-officina e tecnici, attraverso ingegneri,
dottori, capi-ufficio su fino ai direttori, essi costituiscono
una catena ininterrotta di funzionari; negli strati
inferiori essi fanno parte degli sfruttati, in quelli più
elevati essi partecipano allo sfruttamento. In modo differente
dai residui del vecchio ceto medio indipendente, la cosiddetta nuova
classe media lintellighentsia, i
funzionari, gli impiegati del settore privato costituisce
quello strato intermedio. Esso si differenzia dal vecchio ceto
medio, piccola borghesia, in un punto importante: non è
proprietario dei mezzi di produzione, vive invece della
vendita della propria forza-lavoro. Esso è una classe
moderna, in ascesa, che con lo sviluppo sociale diviene
sempre più numerosa e rilevante. La sua forza-lavoro è
altamente qualificata; la sua retribuzione è considerevolmente
più elevata; i suoi membri occupano posizioni dirigenti e
scientifiche, da cui dipende il profitto dimpresa. [a.p.].
Numerose funzioni e attività che un
tempo erano circondate da un alone sacro, si trasformano da una
parte in lavoro salariato, per quanto diversi ne siano
il contenuto e la remunerazione, dallaltro cadono
per il calcolo del loro valore, del prezzo delle diverse
prestazioni, dalla prostituta al re e al papa sotto
limpero delle leggi che regolano il prezzo del
lavoro salariato. Queste occupazioni trascendenti, venerande
il sovrano i giudici, gli ufficiali, i preti, ecc.,
linsieme degli antichi ordini ideologici che le producono,
i loro dotti, maestri e preti vengono equiparati, dal
punto di vista economico, alla folla dei loro lacchè e dei
loro buffoni che viene mantenuta dalla ricchezza oziosa. Essi
sono semplici servitori pubblici, vivono del
prodotto del lavoro altrui, appartengono alle spese di
circolazione, appaiono come falsi costi di
produzione. Ma alla grande massa dei cosiddetti lavori
superiori come i funzionari statali, i
militari, gli artisti, i medici, i preti, i magistrati, gli
avvocati, ecc. alcuni dei quali sono sostanzialmente
distruttivi e però sanno come appropriarsi di una grandissima
parte della ricchezza materiale, un po vendendo
le loro merci immateriali un po imponendole con
la forza, non è gradito affatto di essere relegati, dal punto
di vista economico, nella stessa classe dei buffoni e dei
servitori, e di apparire, rispetto ai produttori veri e propri e
agli agenti della produzione, come semplici consumatori e
parassiti.
Tuttavia, in quanto essi divengono o perfino
si rendono necessari sia per le infermità fisiche (come i
medici), sia per le debolezze spirituali (come i preti), sia per
il conflitto tra gli interessi privati e gli interessi nazionali
(come gli impiegati statali, gli avvocati, i magistrati, i
poliziotti, i soldati) la società borghese impara
dallesperienza che la necessità, ereditata dal passato,
della combinazione sociale di tutte queste classi deriva
dalla sua propria organizzazione. Lo stato, la chiesa, ecc., sono
giustificati solo nella misura in cui sono comitati
damministrazione o di gestione degli interessi comuni dei
borghesi produttivi. Cosicché la società borghese produce di nuovo,
nella sua propria forma, tutto ciò che essa aveva
combattuto nella forma feudale o assolutistica. Essa si
presenta poi come tale anche allapparenza. In certe sfere
stabilisce il monopolio e richiede quindi lintervento dello
stato. Ricostituisce una nuova aristocrazia finanziaria [<=],
una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di
progetti, di fondatori e di direttori che sono tali
semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e di imbrogli
che ha per oggetto la fondazione di società, lemissione e
il commercio di azioni, ecc. Tanto i fannulloni quanto i
loro parassiti dovevano trovare il loro posto nel
miglior ordinamento possibile del mondo.
[f.e.-k.m.-a.p.]
(le considerazioni marxiane ed engelsiane sul
concetto di classe sono tratte da vari testi: capp. 23 e
24 del I libro del Capitale, cap. 6 del II, capp. 23 e 27
e, naturalmente, cap. 52 (Le classi) del III, laddove il
manoscritto si interrompe; appendice 4 del I volume delle
Teorie del plusvalore e capp. 17 e 18 del II volume; VI
capitolo inedito; quaderno V e VI dei Lineamenti
fondamentali; prima sezione dellIdeologia tedesca,
prima parte della Sacra famiglia, Critica della
filosofia del diritto, Miseria della filosofia, La
questione contadina in Francia e in Germania e, ovviamente, Manifesto
del partito comunista; gli inserti sulle nuove classi
medie sono tratti da Anton Pannakk, Le
differenze tattiche nel movimento operaio)
Colpi di stato e rivoluzioni
(forme di insurrezione e rivolte)
Il colpo di stato è una forma di
violenza, politica o pure militare, mirata al cambiamento di
un governo in carica. Ciò che distingue il colpo di stato
dalla rivoluzione, ma in diversa misura anche dalla guerra
civile, dalla guerra rivoluzionaria e dalla guerra
insurrezionale, è perché si tratta comunque sempre di un
conflitto tra due gruppi della stessa classe dominante. La
terminologia spesso usata di golpe deriva la sua origine
dalle lingue ispaniche, soprattutto per luso fattone in
America latina con una quasi esclusiva commistione
dellaspetto militare con quello politico [di qui anche il
termine pronunciamiento del capo dei golpisti].
Diffusosi sempre più nel secondo dopoguerra in Medioriente, in
Africa e in Asia, anche in Europa si sono avuti colpi di
stato [a es., in Francia (1958) con la ripresa del governo
da parte di de Gaulle, in Grecia (1967) con lavvento
della giunta militare dei colonnelli, o in Portogallo
(1974) con la destituzione di Salazar]. Dopo lavvento del
fascismo, che non fu affatto una rivoluzione come
blaterano i suoi fautori, né vide alla sua nascita una
guerra civile (come avvenne in Spagna) che invece si
verificò solo per la sua fine, ma un colpo di stato ordito da
Benito Mussolini e dal re Vittorio Emanuele iii di Savoia
altri tentativi parzialmente falliti si sono verificati anche in
Italia, con le aspirazioni golpiste di Tambroni, De Lorenzo,
Miceli, Gelli, ecc. con i vari piano Solo, P.2. e
così via. In tutti questi casi la classe dominante
borghese, in perfetta continuità, era sempre la medesima.
Le guerre rivoluzionarie, al
contrario, possono essere definite tali soltanto se siano
caratterizzate dal fatto di puntare a colpire e abbattere il sistema
di potere dominante e la classe proprietaria che lo
incarna, non solo il governo: in particolare nel mondo moderno
lobiettivo attuale può essere unicamente il superamento
del modo di produzione capitalistico borghese. Tutte le
forme insurrezionali non aventi tale scopo esplicito sono
ascrivibili a rivolte o ribellioni, perché non mirano
direttamente a capovolgere i rapporti di potere e di proprietà.
A margine di unattività capace di preludere a una
rivoluzione, simili forze possono tatticamente
appoggiare le guerre di liberazione nazionale, in
quanto guerre insurrezionali per lautonomia di un popolo
dal giogo di una potenza coloniale straniera, o di rivolta contro
laccettazione da parte del potere interno
delloccupazione straniera, o sempre
allinterno per la lotta contro i governi dispotici di
stati sovrani.
Ma, appunto, in tutti codesti casi non si
può ancora parlare correttamente di rivoluzione o di guerra
rivoluzionaria; perciò sono da considerarsi poche le guerre
rivoluzionarie paragonabili alla Rivoluzione
francese del 1793, e magari dopo ancora nel xix secolo al
tentativo abortito della Comune di Parigi (1871); mentre
gli episodi, a es. del 1848 in Europa segnarono solo un
traballamento superficiale perché come precisò
Marx contro il colpo di stato di Napoleone iii
lo spettro soltanto della rivoluzione fece la sua
apparizione. Perciò si è dovuto aspettare per riferirsi,
nel xx sec., alle due grandi rivoluzioni (incompiute negli anni
successivi) russa (1917) e cinese (1949). Anche le guerre
iniziate per lindipendenza nazionale in Algeria, contro
la Francia (1954-1962), e a Cuba, contro il regime legato agli
Usa di Batista (1956-1959), assunsero strada facendo parziali e
provvisori riferimenti a un carattere rivoluzionario, in quanto
sviluppatesi in riferimento al socialismo. Si sono avuti nel
mondo moderno alcuni altri movimenti rivoluzionari la cui
attività però è stata contenuta o soffocata.
[* .*]
(da Enciclopedia Treccani)
Colpo di stato
(frammento di storia contemporanea)
Qui si tratta di dimostrare, nel corso di uno
sviluppo di parecchi anni (1848-1850), altrettanto critico quanto
caratteristico per tutta lEuropa, lintimo nesso
causale e quindi, secondo il concetto di Marx, di ricondurre gli
avvenimenti politici allazione di cause in ultima istanza
economiche. Nel giudicare avvenimenti e serie di avvenimenti
della storia contemporanea non si sarà mai in condizione di
risalire sino alle cause economiche ultime. Persino oggi
che la stampa tecnica specializzata fornisce un materiale così
ricco, non è possibile seguire giorno per giorno il corso del
mercato mondiale e i mutamenti che sopravvengono nei metodi di
produzione, in modo da poter in qualsiasi momento fare il
bilancio generale di questi fattori multiformi, complessi e in
continua mutazione, fattori di cui i più importanti, inoltre,
agiscono a lungo e in modo latente prima di erompere
improvvisamente e violentemente alla superficie.
Una netta visione della storia economica di
un periodo determinato non può mai formarsi contemporaneamente,
ma soltanto successivamente, dopo che sia stato raccolto e
studiato il materiale. La statistica è qui un ausilio necessario
e arriva sempre in ritardo. Per la storia contemporanea
corrente si è quindi costretti anche troppo spesso a considerare
questo fattore, che è il più decisivo, come costante, ad
assumere come data e immutabile per lintero periodo la
situazione che si riscontra allinizio del periodo
considerato, o a prendere in considerazione soltanto quei
mutamenti di questa situazione che sgorgano da avvenimenti che
sono manifesti e che perciò si presentano essi pure in modo
aperto. Il metodo materialista dovrà perciò limitarsi anche
troppo spesso a ricondurre i conflitti politici a lotte di
interesse delle classi sociali e delle frazioni di classe
preesistenti, determinate dalla evoluzione economica e a
ravvisare nei singoli partiti politici lespressione
politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni
di classe. È evidente che tale inevitabile negligenza di quei
mutamenti della situazione economica base vera di tutti
gli avvenimenti che si devono indagare che si producono
durante gli avvenimenti stessi, non può essere che una fonte di
errori. Ma tutte le condizioni di una esposizione sintetica della
storia contemporanea racchiudono in sé inevitabilmente fonti di
errori, il che però non impedisce a nessuno di scrivere la
storia contemporanea.
Marx, a partire dalla primavera del 1850,
ebbe nuovamente agio di dedicarsi agli studi economici e si
accinse innanzi tutto allo studio della storia economica degli
ultimi dieci anni. In questo modo gli risultò completamente
chiaro dai fatti stessi ciò che sino allora egli aveva ricavato
in modo quasi aprioristico da materiali insufficienti: che la
crisi commerciale mondiale del 1847 era stata la vera madre delle
rivoluzioni di febbraio e di marzo e che la prosperità
industriale ristabilitasi a poco a poco dalla metà del 1848 e
giunta al suo apogeo nel 1849 e nel 1850, fu la forza che dette
vita e nuovo vigore alla reazione europea. La rassegna storica
fatta da Marx e da me [cfr. Neue Rheinische Zeitung,
autunno del 1850 (maggio-ottobre)], rompe una volta per sempre
con lillusione di una prossima ripresa di energia
rivoluzionaria: una nuova rivoluzione non è possibile se
non in seguito a una nuova crisi.
Immediatamente dopo il colpo di stato
di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851, Marx prese nuovamente in
esame la storia della Francia dal febbraio 1848 sino a questo
avvenimento, il quale poneva temporaneamente un termine al
periodo rivoluzionario [cfr. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte].
Lunanimità dei partiti operai di tutto il mondo riassume
brevemente la sua rivendicazione della trasformazione economica:
lappropriazione dei mezzi di produzione da parte della
società. A proposito del diritto al lavoro, che
viene designato come prima formulazione goffa in cui si
riassumono le rivendicazioni rivoluzionarie del
proletariato, si dice: ma dietro al diritto al lavoro
sta il potere sul capitale, dietro al potere sul capitale sta lappropriazione
dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe
operaia associata e quindi labolizione del lavoro
salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci. Il
socialismo operaio moderno si distingue nettamente tanto da tutte
le diverse sfumature di socialismo feudale, borghese,
piccolo-borghese, ecc., quanto dalla confusa comunità dei beni
del comunismo utopistico e del comunismo operaio primitivo. Già
ora i mezzi di distribuzione in possesso della comunità, dello
stato o del comune noi li vogliamo appunto abolire.
Era naturale e inevitabile che le nostre
concezioni della natura e dello sviluppo della rivoluzione
sociale proclamata a Parigi nel febbraio 1848, della
rivoluzione del proletariato, fossero fortemente colorite dai
ricordi dei modelli del 1789-1830. E specialmente quando il
sollevamento di Parigi trovò la sua eco nelle insurrezioni
vittoriose di Vienna, Milano, Berlino, quando tutta lEuropa
sino alla frontiera russa venne trascinata nel movimento; quando
poi in giugno a Parigi venne combattuta la prima grande battaglia
per il potere tra il proletariato e la borghesia; quando la
vittoria stessa della propria classe scosse a tal punto la
borghesia di tutti i paesi che essa si rifugiò di nuovo nelle
braccia della reazione feudale monarchica poco prima rovesciata,
date le condizioni di allora non poteva più esistere per noi
nessun dubbio che era scoppiata la grande lotta decisiva e che
questa lotta doveva venir combattuta in un solo periodo
rivoluzionario di lunga durata e pieno di alternative.
Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo
in nessun modo le illusioni della democrazia volgare raccolta
attorno ai governi provvisori futuri in partibus [infidelium,
nelle terre occupate dagli infedeli]. Questa contava su una
vittoria rapida, decisiva una volta per tutte, del
popolo sugli oppressori; noi su una lotta
lunga, dopo leliminazione degli oppressori, tra
gli elementi contraddittori che si celavano precisamente in
questo popolo. La democrazia volgare aspettava la
nuova esplosione dalloggi al domani; noi dichiaravamo
già nellautunno 1850 che almeno il primo capitolo del
periodo rivoluzionario era chiuso e che non vi era da aspettarsi
nulla sino allo scoppio di una nuova crisi economica mondiale.
Per questo fummo messi al bando come traditori della rivoluzione
da quegli stessi che in séguito fecero tutti, quasi senza
eccezione, la pace con Bismarck, nella misura in cui Bismarck
trovò che ne valeva la pena.
Anche la nostra concezione dallora era
una illusione. La storia è andata anche più lontano; essa non
ha soltanto demolito il nostro errore di quel tempo; essa ha pure
sconvolto radicalmente le condizioni in cui il proletariato ha da
lottare. Il modo di combattere del 1848 è oggi sotto tutti gli
aspetti antiquato e questo è un punto che in questa occasione
merita di essere esaminato più da vicino. Tutte le passate
rivoluzioni hanno condotto alla sostituzione del dominio di una
classe con quello di unaltra; ma sinora tutte le classi
dominanti erano soltanto piccole minoranze rispetto alla massa
del popolo dominata. Una minoranza dominante veniva rovesciata,
unaltra minoranza prendeva il suo posto al timone
dello stato e rimodellava le istituzioni politiche secondo i
propri interessi.
E ogni volta si trattava di quel gruppo di
minoranza che le condizioni dello sviluppo economico rendevano
atto e chiamavano al potere. Appunto per questo e soltanto per
questo avveniva che la maggioranza dominata partecipava al
rivolgimento schierandosi a favore di quella minoranza, oppure
si adattava tranquillamente al rivolgimento stesso. Ma se
prescindiamo dal contenuto concreto di ogni caso, la forma
comune di tutte quelle rivoluzioni consisteva nel fatto che esse
erano tutte rivoluzioni di minoranze. Anche quando la
maggioranza prendeva in esse una parte attiva, lo faceva
soltanto, coscientemente o no, al servizio di una minoranza;
questo fatto però, o anche solo il fatto
dellatteggiamento passivo e della mancanza di resistenza
della maggioranza, dava alla minoranza lapparenza di
essere rappresentante di tutto il popolo. La minoranza
vittoriosa in generale si scindeva: una metà era soddisfatta dei
risultati raggiunti, laltra voleva andare più avanti e
presentava nuove rivendicazioni. Il partito più moderato
prendeva di nuovo il sopravvento e le ultime conquiste andavano
in tutto o in parte perdute di nuovo. Tutte le rivoluzioni
delletà moderna hanno presentato questi lineamenti, che
sembravano inseparabili da ogni lotta rivoluzionaria.
E sembrava che essi fossero da applicarsi
anche alle lotte del proletariato per la sua emancipazione; tanto
più applicabili in quanto proprio nel 1848 si potevano contare
sulle dita coloro che comprendevano anche solo in una certa
misura in quale direzione si dovesse cercare questa
emancipazione. Persino a Parigi, anche dopo la vittoria, le
stesse masse proletarie non avevano nessuna idea chiara
circa la via da battere. Eppure il movimento esisteva, istintivo,
spontaneo, insopprimibile. Non era proprio quella la situazione
in cui doveva vincere la rivoluzione, diretta bensì da una
minoranza, ma questa volta non nellinteresse della
minoranza, bensì nel più genuino interesse della maggioranza?
In tutti i periodi rivoluzionari un po
lunghi si erano potute guadagnare, così, facilmente le grandi
masse popolari anche solo mediante plausibili miraggi presentati
loro dalle minoranze che le spingevano avanti, ma che non erano
altro che lespressione chiara, razionale, dei loro bisogni,
da loro stesse ancora incompresi, sentiti soltanto in modo ancora
confuso. Questo stato danimo rivoluzionario delle masse
aveva lasciato il posto quasi sempre, e per lo più molto presto,
a uno spossamento e si era persino trasformato nel suo contrario,
non appena, svanita lillusione, era subentrato il
disinganno. E presto, nel corso della realizzazione pratica
(nella primavera del 1850) lo sviluppo della repubblica
borghese sorta dalla rivoluzione sociale del
1848, aveva concentrato il vero potere nelle mani della grande
borghesia e per contro aveva raggruppato tutte le altre
classi sociali, i contadini come i piccoli borghesi, attorno al
proletariato.
La storia ha mostrato chiaramente che lo
stato dellevoluzione economica sul continente era allora
ancor lungi dallesser maturo per leliminazione
della produzione capitalista; e se anche il potente esercito
del proletariato non ha ancora raggiunto la meta, anche se esso,
lungi dal conseguire la vittoria con una sola grande
battaglia, deve progredire, lentamente, di posizione in
posizione, con una lotta dura e tenace, ciò dimostra una volta
per sempre come fosse impossibile conquistare la trasformazione
sociale del 1848 con un semplice colpo di sorpresa. Una
borghesia divisa in due frazioni prima di tutto però desiderava
la calma e la sicurezza per i suoi affari pecuniari; di fronte a
essa un proletariato vinto, sì, ma ancor sempre minaccioso,
attorno al quale si raccoglievano sempre più la piccola
borghesia e i contadini; la minaccia continua di
unesplosione violenta, che malgrado tutto non offriva
nessuna prospettiva di soluzione definitiva. Tale era la
situazione, che si sarebbe detta fatta apposta per il colpo di
stato del pretendente pseudodemocratico Luigi Bonaparte.
Con laiuto dellesercito questi
pose fine il 2 dicembre 1851 alla situazione tesa e assicurò
allEuropa la pace interna, per gratificarla, in cambio, di
una nuova era di guerre [Crimea, Austria, Cina, Indocina, Siria,
Messico e infine Germania]. Il periodo delle rivoluzioni dal
basso era, intanto, chiuso; seguì un periodo di rivoluzioni
dallalto. Il ritorno allimpero del 1851
forni una nuova prova dellimmaturità delle aspirazioni
proletarie di quel tempo. Ma quel ritorno stesso doveva creare le
condizioni nelle quali queste aspirazioni dovevano maturare. La
tranquillità allinterno assicurò un pieno sviluppo al
nuovo slancio dellindustria; la necessità di dare
unoccupazione allesercito e di distrarre con
questioni di politica estera le correnti rivoluzionarie, generò
le guerre in cui Bonaparte, col pretesto di far valere il
principio di nazionalità, cercò di arraffare delle
annessioni per la Francia. Il suo imitatore, Bismarck, seguì la
stessa politica per la Prussia; fece nel 1866 il suo
colpo di stato, la sua rivoluzione
dallalto contro la Confederazione tedesca e
lAustria, non meno che contro la Konfliktskammer
prussiana. Ma lEuropa era troppo piccola per due Bonaparte.
Così lironia della storia volle che Bismarck abbattesse
Bonaparte (1870-1871)
Il periodo viene chiuso, però, dalla Comune
di Parigi. Un tentativo sornione di Thiers di rubare alla
Guardia nazionale di Parigi i suoi cannoni provocò
uninsurrezione vittoriosa. Apparve ancora una volta che a
Parigi non è più possibile nessunaltra rivoluzione, che
non sia una rivoluzione proletaria. Dopo la vittoria il potere
cadde nelle mani della classe operaia da sé, senza la minima
opposizione. E ancora una volta apparve quanto questo potere
della classe operaia fosse impossibile anche allora, venti
anni dopo. La Comune si consumò nella infeconda controversia dei
due partiti che la dividevano, dei blanquisti (maggioranza) e dei
proudhoniani (minoranza) ignari ambedue del da farsi. Con la
Comune di Parigi si credette di aver definitivamente sepolto il
proletariato combattente. Ma tuttal contrario dalla Comune
e dalla guerra franco-tedesca data la sua ascesa più poderosa. E
lanniversario della Comune di Parigi divenne il
primo giorno di festa generale di tutto il proletariato.
[f.e.]
Comunicazione neocorporativa
Il livello della comunicazione sociale è il
livello integrativo di base dellorganismo sociale in
quanto universo delle relazioni e interazioni. Comunicazione neocorporativa
intendiamo che sia, invece, luniverso delle tecniche, dei
modelli, dei mezzi e dei rapporti della comunicazione sociale,
governati e condizionati dalle necessità e dagli interessi e
dalle ideologie di dominio sociale del capitale [<=]
[formalmente democratico nella fase attuale generale, di
tipo neocorporativo [<=] per il carattere della
gestione dei conflitti sociali da parte della triade
stato-industriali-sindacati]. La comunicazione è il livello
privilegiato del controllo sociale e dunque
dellunificazione sociale attorno allo stesso capitale
democratico neocorporativo. Specificamente, essa può
intendersi come, approssimativamente, il circolo,
lintegrazione e lo scambio dei messaggi
tra le diverse componenti e i diversi gruppi dellorganismo
sociale. Ora, essendo le tecniche i modelli e i mezzi della
comunicazione governati dagli interessi del capitale, ne
ricaviamo che allora il circolo dei messaggi avviene
tramite la mediazione [<=] materiale e ideologica di
esso.
In questo senso la comunicazione
neocorporativa (i suoi modelli, mezzi e rapporti) è funzione
del potere sociale capitalistico. Alla notazione di quanti
affermano che oggi un paese appartiene a chi controlla le
comunicazioni, noi aggiungiamo per precisazione
senza la quale lasserzione diventa generica e indeterminata
che le comunicazioni in un organismo sociale le controlla
chi controlla i mezzi ed i rapporti economici di produzione,
cioè, nel nostro organismo, il capitale democratico
neocorporativo, nella sua forma finanziaria transnazionale.
Infatti, in realtà, i mezzi di produzione economica finiscono
con lessere anche i mezzi di produzione della
comunicazione, e i rapporti sociali di comunicazione sono
in quanto fondati sulla proprietà capitalistica dei mezzi
di produzione della comunicazione omologhi e interni ai
rapporti economici di produzione. Diciamo più precisamente,
allora, che i rapporti di comunicazione hanno la peculiarità
di essere rapporti economico-sociali di produzione e
circolazione della comunicazione. Ed è in questo senso
determinato che la comunicazione neocorporativa è funzione
storico-sociale del capitale. I punti chiave, quindi, di ogni
discorso sulla comunicazione, sono: a) la proprietà
privata (capitalistica) dei mezzi di produzione e
circolazione della comunicazione; b) lessere, la
comunicazione neocorporativa, una funzione del capitale, in
quanto livello privilegiato del controllo sociale e della
organizzazione-manipolazione del consenso.
[n.g.]
Comunicazione postmoderna
Comunico dunque sono. In una
semplice proposizione potremmo racchiudere lontologia
dellessere sociale contemporaneo, o
postmoderno come altri amano specificare, nella
società cosiddetta dello spettacolo. Di fronte a ciò, se a
destra predomina il tono apologetico, asinistra
ci riferiamo più che altro agli intellettuali
si racconta, suggerendo così una presunta insufficienza
o vecchiezza del metodo conoscitivo e critico materialista, che
oramai domina lastrazione della funzione comunicativa ed i
legami sociali si sono dematerializzati.
Bisogna ridefinire le categorie interpretative, così
dicono... Il tema della comunicazione può in qualche modo
essere qui assunto come punto di partenza analitico, con la
specificazione che, parafrasando il linguaggio [<=]
degli apostoli del postmodernismo, al livello delle comunicazioni
di massa la funzione comunicativa oggi eccede la
determinazione e lapplicazione del criterio di verità,
avendo leffetto spettacolare e la semplificazione del
ragionamento azzerato, fino al non sense, la qualità del
valore duso, in termini di conoscenza, della
comunicazione stessa. Agli utenti dei cosiddetti mass media
viene offerta unimmane accumulazione di immagini e di
informazioni legate insieme da codici interpretativi
preconfezionati che di un processo conoscitivo reale non
offrono che surrogati pubblicitari o propagandistici. Qui di
seguito si esaminano aspetti legati al primo dei due
surrogati.
Non è solo la modalità duso di
quellattrezzo comunicativo che si chiama televisione la
causa dei guai sopraggiunti nellambito della comunicazione.
È che tutti gli ambiti del vivere sociale sono stati pervasi dal
sistema organizzativo che i tecnici del modo di
produzione capitalistico hanno modellato per comprimere i tempi
ed elevare lintensità di funzionamento del circuito
produzione-circolazione-consumo delle merci, onde abbassare i
costi di produzione in termini di tempo di lavoro, di giacenza
delle merci, di mediazione tra produzione e consumo, di
intensità duso degli strumenti di produzione. Sistema
organizzativo con il quale i tecnici sopracitati tentano
di lenire gli effetti della crisi [<=] della
produzione standardizzata di massa. Tale sistema necessita, per
espandersi e riprodursi, di abbeverarsi, dalla fonte dei
produttori / consumatori di merci, di integrazione, partecipazione
[<=], flessibilità [<=], consenso [<=],
la cui coercizione è esplicata nelle formule con cui si indica
lalienazione di qualsivoglia coscienza di sé e per
sé dei soggetti sociali integrati, partecipanti,
flessibilizzati e consenzienti, degradati al ruolo socialmente
decerebrato di capitale umano, capitale di
fiducia, risorse umane e via elencando tutta la
nomenclatura e laggettivazione in uso per indicare,
occultandolo con formule linguistiche tecnicamente
neutre, il pieno controllo materiale ed intellettuale sui tempi
di lavoro e di non lavoro delle classi subalterne da parte del
capitale.
I circuiti dellinformazione sono parte
centrale di questo meccanismo produttivo e riproduttivo, in
quanto veicolano in tempo reale modelli
comportamentali e ideali funzionali agli standard di
adeguamento alle modalità di produzione e di consumo che il
ciclo dellaccumulazione capitalistica di volta in volta
richiede. E siccome il ciclo per rigenerarsi ed espandersi
necessita del rapido e continuo superamento degli standard
esistenti, i ritmi si fanno sempre più serrati. Questi ritmi
di produzione, circolazione e consumo delle merci e delle
informazioni sono i ritmi dei soggetti reali nella società
contemporanea. Al tempo sempre più intenso del lavoro
sessanta minuti di pieno lavoro per ogni ora di ogni
lavoratore, per dirla con le parole dei manager della qualità
totale giapponese, sì da cogliere immediatamente dove
risiede la qualità succede senza soluzione di
continuità il tempo sempre più vorticoso del consumo.
La forma di merce [<=] e le
esigenze del processo di valorizzazione del capitale cui essa
è funzionale pervadono ogni anfratto del vivere sociale.
Niente pare essere in grado di resistere alla performatività
del sistema, sistema caratterizzato dalla mercificazione
totale, ciò che altrimenti è detto consumismo.
Definizione, questultima, alquanto ideologica: sostituendo
arbitrariamente la produzione per il consumo alla produzione
per il profitto, essa pone in evidenza lambito del mercato
[<=], cui tutti afferiscono come acquirenti (fatte salve le
differenze quantitative dellafferire stesso), laddove la
parola profitto richiama immediatamente
allasimmetria sociale che sta dietro il mercato, il dominio
e lo sfruttamento di una parte sociale ad opera di unaltra.
Eppure sono proprio la natura e le ragioni di questa pervasività
del manifestarsi del processo di accumulazione capitalistica
ciò di cui gli intellettuali postmoderni non ci
narrano, presi come sono dallindagine sui meccanismi ed i
circuiti della comunicazione. Il filosofo postmoderno Gianni
Vattimo, tanto per fare un esempio illustre, parlando di queste
cose nel suo celebre libro La società trasparente ha
avuto modo di esprimersi come segue: il potere economico
è ancora nelle mani del grande capitale. Sarà non voglio
qui allargare troppo la discussione su questo terreno; il fatto
è però che la stessa logica del mercato
dellinformazione richiede una continua dilatazione di
questo mercato, ed esige di conseguenza che tutto diventi
in qualche modo oggetto di comunicazione. Questa moltiplicazione
vertiginosa della comunicazione ... determina il passaggio
della nostra società alla postmodernità.
Sarà...?!?
Occorre dunque specificare ulteriormente e
cogliere i nessi di causa-effetto di tutto ciò in senso più
preciso. Senza di che, come i teorici postmoderni (e molti dei
loro antagonisti, che spesso finiscono invischiati nelle trame
del proprio obiettivo polemico), ci limiteremmo al senno del
post, ovvero alloccultamento del perché
e del come si è determinata la situazione che ci
troviamo a registrare. Prendiamo lesempio
dellautomobile. Nel momento in cui per lanciare i nuovi
modelli Bravo e Brava la
Fiat organizza una kermesse che prevede il riarredo urbano
di Torino (36.500 piante fiorite, 6.000 metri di moquette
colorata, nuovo maquillage a vetrine, autobus, strade,
taxi e bottiglie dacqua minerale servite in bar e
ristoranti ...), eventi massmediatici ed un convegno
internazionale su I colori della vita a cui
partecipano studiosi e scienziati provenienti da tutto il mondo e
dai più svariati ambiti disciplinari costo
delloperazione 10 miliardi ci troviamo in pieno postmoderno,
làmbito economico diviene tuttuno con il circuito
informativo-spettacolare e la qualità del valore
duso comunicativo si tramuta direttamente in quantità
di valore di scambio economico. Insomma, si tratta di vendere
automobili e di reclamizzare il fatto che sono colorate, altro
che i colori della vita.
Ciò rappresenta però lesatto
contrario del dominio dellastrazione [<=] della
funzione comunicativa e dellimmateriale che
lideologia postmoderna propaganda, essendo il verificarsi
di questo processo una determinazione prodotta dallattuale
stadio dello sviluppo del modo di produzione capitalistico (non
sarà...). Durante la fase espansiva del ciclo di
accumulazione capitalistica legato alla produzione di automobili
Mr. Ford poteva permettersi di dire, a proposito del suo famoso modello
T, possono senzaltro chiederla di qualsiasi
colore, purché sia nero. Paolo Cantarella, amministratore
delegato di Fiat Auto, presentando i nuovi modelli Bravo
e Brava ha altresì spiegato che la Fiat
ha abbandonato i grigi topo o fumo di Londra, che poi erano
la stessa cosa, perché un auto deve corrispondere il più
possibile al carattere di chi la possiede.
Quello che è importante mettere in luce è
che la comparazione tra le due dichiarazioni quella di
Cantarella e quella di Mr. Ford riconduce al passaggio
che vi è stato con la saturazione dei mercati conseguente alla crisi
[<=], per cui Henry Ford poteva ancora permettersi di riporre
la propria fiducia nello sviluppo progressivo, in termini
quantitativi, della produzione e del consumo standardizzati di
massa, mentre Cantarella ha per le mani il problema di dover
sfondare in un settore di mercato quello che
sta tra lutilitaria e lauto di lusso già
largamente saturato da Volkswagen, Opel, Audi, ecc.. Ciò che si
rende necessario al gruppo Fiat in vista dellinevitabile
esaurirsi della spinta propulsiva di Uno, Y10 e Punto nel settore
delle utilitarie. È a questa base materiale che si rende
funzionale limmaterialità della comunicazione
spettacolarizzata, quella targata Fiat nel caso in questione e
successivamente generalizzando. Ecco dunque che se la
teoria la riconduciamo ai fatti abbiamo
delle specificazioni, dei nessi di causa-effetto ed una
comprensione sistematica. In questo caso la materialità
della crisi di sovraproduzione capitalistica ed i
tentativi di risposta che il capitale ad essa dà.
[pp.f.]
Comunismo # 1
(ringraziamento per comunismo
ricevuto)
Non potendo ancora dirne nulla, dato il suo
momentaneo rinvio nei prossimi secoli a venire, dovremmo tacerne.
Precipitosi però come siamo, per lurgere emotivo che ci
attanaglia pressappoco da un secolo e mezzo, ci buttiamo nella
mischia dei sognatori, dei definitori, degli affossatori, dei
riaffondatori ecc., che di comunismo se ne intendono, per
dire anche noi la nostra. Cosè il comunismo? Rivolto a
chi lo può intendere, ovvero, a chi non fa lo sfruttatore, una
risposta lha già data Bertolt Brecht in una lode poetica:
È la semplicità che è difficile a farsi.
Sentimentalmente confortati da questa ragionevole semplicità, il
difficile del farsi continua così ad impegnare le forze
esistenti, ora potenzialmente sempre più numerose. Innanzitutto
è indispensabile eliminare quel sapore impastoiato di idea
ricevuta (come direbbe Gustave Flaubert nel Dizionario
delle idee comuni). Quel che di senso comune
affidato allabitudine di un uso tanto indiscutibile
quanto credibile, proprio come se si trattasse
di una verità accettata dalle masse che avrebbero da sempre,
invece, dovuto sostanziarla con le loro lotte, altrimenti dette coscienza
[<=] storica. Al posto di una dignitosa anche se
eternamente provvisoria conventio omnium (accordo
generale), scopriremmo al contrario che il comunismo
- ricevuto è sempre stato (almeno dallultimo
dopoguerra in poi) un precotto con gli avanzi di
ragionamento, disgustosamente appiccicato sulle bandiere
scolorite di una storia ridotta a sola etichetta; oppure un passe-partout
per ogni genere di transazione, una cedola in premio
allinerzia, alla convenzionalità gratuita e al
compromesso come pratica. Labuso nominalistico come vacua
sonorità (comunismo, socialismo dal volto umano,
ecc.) ha provveduto così alla fessa cristallizzazione del suo
concetto, abilmente tramutato in precetto per lomologazione
e il sopimento delle coscienze che, gaudenti delle progressive
semplificazioni, non si avvedevano di dover custodire solo gli
spiccioli di un patrimonio che altri avevano già scippato,
anche nelle traslucide trasparenze.
Il comunismo ha quindi cominciato ad
assumere una funzione gastronomica nella diffusione
comunicativa. Pasto quotidiano da smembrare (vedi crisi del
marxismo, crisi del comunismo, crisi dei paesi
dellest, ecc.) e far riassimilare nei brandelli
controllabili conditi di trovate ed effetti speciali (tutto
e sùbito, riforme di struttura, ecc.), è servito a
richiamare alla tavola dei padroni le nuove forchette, gli
ingordi travestiti e trasformisti dogni appetito (lèggi:
Lama, Trentin, Napolitano, Occhetto, DAlema ... ma
risparmiamo le righe ora). Nella danza multimediale ogni progetto
è stato velato da pragmatici passi che calcavano il luogo
comune (efficienza, democrazia, ecc.), ogni idea si
è inchinata allo stereotipo che nellabbraccio mortale la
triturava in mito, cliché, slogan, citazione
eclettica o collezione per amatori (pagherete caro
pagherete tutto; è ora è ora potere a chi lavora; compromesso
storico; rivoluzione copernicana; zoccolo duro; questione
morale; ecc.). La sempre rinnovabile miseria del comunismo,
allora, consiste nel non liquidare mai del tutto ciò che le
alternate potenze doccupazione (fascisti doc,
alleati americani, Dc, clerico-socialisti o
craxiani, tecnici al governo, ecc.) pretendono sistematicamente
distrutto. Il manierismo socialista, che poi ha nutrito le
fauci della cosca rivale detta Mani Pulite, è
servito appunto a deviare dalla presa di possesso dei mezzi di
produzione un proletariato ampliato (e coscienzialmente
diviso), da consegnare in toto ai vincitori. La guerra
del capitale contro il comunismo, calda o fredda che fosse, si
è così servita prima del concorso delle proprie vittime,
poi del loro consenso [<=]. Mentre infatti la guerra
[<=] di sterminio procurava prima ambìti posti di lavoro, la
sorpresa venne poi quando, in tutto odore di continuità, quella
delle missioni di pace o della qualità
totale (ormai anche questa in ribasso) prese ad eliminare
quanti posti lavorativi voleva. E vuole; sempre di più, per
difetto congenito, strutturale si diceva del
sistema.
Il compianto stereo dei sindacati hi-fi
(contratti di solidarietà, ecc.) è oggi
indispensabile alla tregua. Parte di quella miseria è stata
trasformata in cultura. Attraverso queste lenti
diventa ancor più difficile scorgere la propria morale
come deriva di quella che propaganda la produttività
[<=] e che troneggia incontrastata con
lobiettivo di sviluppare in massimo grado
loperosità di tutti per il bene
comune (dei profitti) solo ed in quanto riuscirà ad
inibire la resistenza (si veda
lauto/etero-regolamentazione dello sciopero raggrinzito a diritto
[<=]) da opporre allo sfruttamento, questultimo
sì in costante estensione. La miseria del comunismo
residuale è quindi non cogliere la coerenza capitalistica
per cui: al crescere del lavoro non pagato crescono i profitti,
e, inversamente, al crescere del consenso sociale cresce
solo la forza per abolire il comunismo. La lotta contro
laccaparramento del plusvalore è solo caos,
violenza, terrorismo, ecc. nellOlimpo pluralista e
bellicoso dei capitali, concordi solo su questo. La miseria del
comunismo - ricevuto, infine, consiste nel
saper svendere le proprie forze, perché il prezzo da pagare
sembra troppo alto. Le masse, tanto, hanno da sempre
labitudine di pagare per tutti. Chi sottrae la ricchezza
comune ha giocato le sue carte per contrabbandare la conoscenza
della transizione, e quindi la relativa organizzazione
politica, con il comunismo della miseria. Anche
allinterno della sparsa sinistra neocorporativa, la nostra
identità nel lottare contro questa miseria diventa sempre di
più un identikit.
[c.f.]
Comunismo # 2
(processo di trasformazione)
Il punto di vista del vecchio materialismo è
la società borghese, il punto di vista del materialismo nuovo
è la società umana o lumanità sociale. La dottrina
materialistica della modificazione delle circostanze e
delleducazione dimentica che le circostanze sono
modificate dagli uomini e che leducatore stesso deve essere
educato. Essa è costretta quindi a separare la società in due
parti, delle quali luna è sollevata al di sopra della
società. La coincidenza del variare delle circostanze
dellattività, o auto-trasformazione, può essere
concepita o compresa razionalmente solo come prassi
rivoluzionaria. In realtà, per il materialista pratico,
per il comunista, si tratta di rivoluzionare il mondo
esistente, di mettere mano allo stato di cose incontrato e di
trasformarlo. Nellàmbito della società borghese fondata
sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che
commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare: una
massa di forme antitetiche dellunità sociale, il
cui carattere antitetico, tuttavia, non può essere mai fatto
saltare attraverso una pacifica metamorfosi. Daltra parte
se noi non trovassimo già occultate nella società, così
comè, le condizioni materiali della produzione e i
loro corrispondenti rapporti commerciali per una società
senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero
altrettanti sforzi donchisciotteschi.
Le contraddizioni e gli antagonismi della
forma capitalistica del processo di produzione preparano gli
elementi di formazione di una società nuova e gli elementi di
rivoluzionamento della società vecchia. Il furto del tempo di
lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si
presenta allora come base miserabile rispetto a questa nuova
base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata
dalla grande industria stessa. Solo quando è raggiunto un certo
grado di maturità, la forma storica determinata vien lasciata
cadere e cede il posto a unaltra più elevata. Si riconosce
che è giunto il momento di una tale crisi [<=] quando
guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il
contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma
storica determinata dei rapporti di produzione a essi
corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità
produttiva e sviluppo dei loro fattori, dallaltro. Subentra
allora un conflitto tra lo sviluppo materiale della produzione e
la sua forma sociale. Così non si può pensare a una
realizzazione immediata del comunismo (in una prima fase
deve andare al potere la borghesia). In generale, il passaggio
dei mezzi di lavoro in proprietà sociale comune è
certamente il grande obiettivo del movimento, e noi diciamo che
questo sarà il risultato finale del movimento. Ma
realizzarlo sarà una questione di tempo, di educazione, di
creazione di forme di società più elevate. Il comunismo
per noi non è uno stato di cose che debba essere
instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà
conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale
che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo
movimento risultano dal presupposto ora esistente.
Il potere sociale, cioè la
forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la
cooperazione dei diversi individui, appare a questi individui,
poiché la cooperazione stessa non è volontaria, come una
potenza estranea posta al di fuori di essi, e che segue una sua
propria successione di fasi e di gradi di sviluppo la quale è
indipendente dal volere e dallagire degli uomini e anzi
dirige questo volere e agire. Affinché questa potenza estranea
diventi un potere insostenibile, cioè un potere
contro il quale si agisce per via rivoluzionaria, occorre che
essa abbia reso la massa dellumanità affatto priva
di proprietà, e labbia posta altresì in
contraddizione con un mondo esistente della ricchezza
e della cultura, due condizioni pratiche che
presuppongono un grande incremento della forza produttiva,
un alto grado del suo sviluppo, in cui è già implicita lesistenza
empirica degli uomini sul piano della storia universale.
Daltra parte, questo è un presupposto pratico
assolutamente necessario, anche perché senza di esso si
generalizzerebbe soltanto la miseria, e quindi col bisogno
ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e
ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda. Solo con questo
sviluppo universale delle forze produttive possono aversi
relazioni universali tra gli uomini, ciò che produce il
fenomeno della massa priva di proprietà
contemporaneamente in tutti i popoli e fa dipendere ciascuno di
essi dalle rivoluzioni degli altri. Senza di che: i. il
comunismo potrebbe esistere solo come fenomeno locale; ii.
le stesse potenze dello scambio non si sarebbero potute
sviluppare come potenze universali, e quindi
insostenibili, e sarebbero rimaste circostanze
relegate nella superstizione domestica; iii. ogni
allargamento delle relazioni sopprimerebbe il comunismo locale.
Il comunismo è possibile
empiricamente solo come unazione dei popoli dominati
tutti in una volta e simultaneamente, ciò che presuppone lo
sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni
mondiali che esso comunismo implica. Mentre noi diciamo ai
lavoratori: Dovete affrontare quindici, venti,
cinquantanni di guerra civile per cambiare i rapporti, per
diventare capaci di esercitare il potere, al posto di
queste affermazioni è stato detto: Dobbiamo impadronirci immediatamente
del potere, o se no possiamo anche metterci il cuore in
pace. Come i democratici si riempiono la bocca della parola
popolo, così si è adoperata la parola
lavoratori come una frase vuota. Per poter mettere in
pratica quella frase, si è dovuto dichiarare lavoratore ogni
piccolo borghese, e quindi assumere di fatto la rappresentanza
dei piccoli borghesi al posto di quella dei proletari. Al posto
del processo rivoluzionario reale si è dovuta mettere la
frase della rivoluzione. In diretto contrasto col Manifesto,
vi è chi [alcuni membri della minoranza del comitato centrale
della Lega dei comunisti] al posto del punto di vista
universale del Manifesto ha sbandierato quello
nazionale. Al posto del punto di vista materialistico del Manifesto
è stato adottato un punto di vista idealistico. Al posto dei
rapporti reali si è sbandierata la volontà come elemento
decisivo della rivoluzione. Nellorganizzazione comunista non
ci sono elementi di positivismo, nemmeno per idea. Ci
sono dei positivisti nelle nostre file, come ci sono dei
positivisti che non ne fanno parte, ma che tuttavia si dànno da
fare. Ma ciò non è affatto merito della loro filosofia, che non
vuol aver nulla di comune con il potere del popolo, come noi lo
intendiamo. La loro filosofia mira soltanto a sostituire la
vecchia gerarchia con una nuova. Invece, la nostra guerra contro
il capitale, per esempio, non potrebbe mai riuscire
vittoriosa, se facessimo derivare la nostra tattica
dalleconomia politica radicale borghese.
Noi entriamo nella vita pubblica soltanto per
contribuire al trionfo della classe operaia, cui spetta la
missione storica di istituire il comunismo, appena sia giunta
alla direzione politica ed economica della società, così come
fu missione della borghesia giunta al potere spezzare le catene
feudali che inceppavano lo sviluppo dellagricoltura e
dellindustria, stabilire il libero traffico dei prodotti
e degli uomini, il libero contratto tra imprenditori e operai,
centralizzare i mezzi di produzione e di scambio e approntare,
senza accorgersene, gli elementi materiali e intellettuali per
la futura società comunista. Tuttavia, è ottimistico pensare
che (a es., in Inghilterra) la soluzione sperata possa essere
raggiunta senza i mezzi violenti della rivoluzione, ritenendo che
il metodo inglese di condurre lagitazione nelle assemblee
e sulla stampa, finché la minoranza diventa maggioranza,
sembri un segno che lascia ben sperare. La borghesia inglese si
è sempre dimostrata pronta ad accettare il verdetto della
maggioranza finché ha posseduto il monopolio elettorale. Ma si
può esser certi che, non appena si vedrà messa in minoranza
su questioni ritenute dimportanza vitale, ci troveremo di
fronte a una nuova guerra per la conservazione della schiavitù.
Bisogna perciò aborrire i parolai
dalle frasi forbite. Guai a chi si perde nei vuoti giri di
parole: bisogna essere inesorabili con i phraseurs.
Bisogna condurre unepurazione nelle file del partito
comunista. Essa può essere attuata criticando pubblicamente chi
non è degno di farne parte. Questa epurazione è ora la cosa
più importante che possa essere intrapresa nellinteresse
del comunismo. Bisogna combattere il comunismo degli
artigiani e il comunismo filosofico; il
sentimento deve essere deriso, perché è soltanto
fantasticheria; ogni propaganda orale, ogni costituzione di
nuclei di propaganda deve essere sospesa; non si dovrà più
neppure usare la parola propaganda, nemmeno in
futuro. Se il proletariato andasse ora al potere, non adotterebbe
misure realmente proletarie ma piccolo-borghesi. Il nostro
partito potrà andare al governo soltanto quando i rapporti reali
permetteranno di realizzare le sue concezioni. Quando si
arriva troppo presto al potere, i proletari non andrebbero da
soli al potere ma insieme ai contadini e ai piccoli borghesi, e
sarebbero costretti a realizzare non le proprie misure ma le
loro. Non cè bisogno di essere al governo per realizzare
qualcosa. Diversi membri della Lega hanno tacciato di
reazionari i difensori del Manifesto. In tal
modo si è cercato di renderli impopolari, cosa che del resto è
loro del tutto indifferente, poiché i comunisti non cercano la
popolarità.
[k.m.]
Comunismo # 3
Il combattimento per il comunismo è già il comunismo
[<= #1,2]. È la possibilità (quindi scelta e
rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior
numero di esseri umani e, in prospettiva, la
loro totalità pervenga a vivere in una contraddizione
diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale,
è e sarà il raggiungimento di un luogo più alto, visibile e
veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualità di
ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta
delle classi [<=] è condizione perché ogni singola
vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello
scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni
favola di progresso lineare e senza conflitti. Meno consapevole
di sé quanto più lacerante e reale, il conflitto è fra classi
di individui dotati di diseguali gradi e facoltà di gestione
della propria vita.
Oppressori e sfruttatori (in
Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere
che ne deriviamo) con la non-libertà di altri uomini si pagano
lillusione di poter scegliere e regolare la propria
individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale
loro libertà [<=] non lo vivono essi come
positivo confine della condizione umana, come limite da
riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per
dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre
maggiori di libertà, cioè di vita, altrui; e, indirettamente,
di quella propria.
Oppressi e sfruttati (e tutti, in
qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di
impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e miseria di
una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e
nella paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà
della produzione e dei consumi. Né gli oppressi e sfruttati
sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza
di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di
altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando
assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta
durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli
individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle
esistenze; ma anche flessibilità e amore per tutto quel che la
promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non
esiste) è dunque un percorso che passa anche attraverso
errori, tanto più avvertiti come intollerabili quanto più
chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli altri siano,
di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche
gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che
uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce
invece che, come oggi avviene, per un fine che non è mai la loro
vita. Usati, ma sempre meno, come mezzi per un fine, un fine
che sempre più dovrà coincidere con loro stessi. Ma chi dalla
lotta sia costretto ad usare altri uomini come mezzi (e anche
chi accetti volontariamente di venir usato così) mai potrà
concedersi buona coscienza [<=] o scarico di
responsabilità sulle spalle della necessità o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo,
amico e nemico degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si
riconosce e ai quali, come a se stesso, indirizza la propria
azione; e non solo nemico di quanti riconosce, di quel fine,
nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e misura, anche
dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perché non darà
requie né a sé medesimo né a loro, per strappare essi e se
stesso agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del
sempre uguale. Dovrà evitare lerrore di credere in un
perfezionamento illimitato; ossia che luomo possa uscire
dai propri limiti biologici e temporali. Questo errore, con le
più varie manipolazioni, ha già prodotto, e può produrre, dei
sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini
in cui ci riconosciamo. Ereditato dallIlluminismo e dallo
scientismo, depositato dalla cultura faustiana della borghesia
vittoriosa dellOttocento, quellerrore ottimistico fu
presente anche in Marx e in Lenin, e oggi trionfa nella
maschera tecnocratica del capitale [<=]. Quando si
parla di un al di là delluomo, è dunque necessario
intendere un al di là delluomo presente, non un al di
là della specie. Comunismo è rifiutare anche ogni sorta
di mutanti per preservare la capacità di riconoscersi nei
passati e nei venturi.
Il comunismo in cammino adempie lunità
tendenziale tanto di eguaglianza, fraternità e condivisione
quanto quella di sapere scientifico e di sapienza
etico-religiosa. La gestione individuale di gruppo e
internazionale, dellesistenza (con i suoi insuperabili
nessi di libertà e necessità, di certezza e rischio) implica
la conoscenza delle frontiere della specie umana e quindi della
sua infermità radicale (anche nel senso leopardiano). Quella
umana è una specie che si definisce dalla capacità (o dalla
speranza) di conoscere e dirigere se stessa e di avere pietà di
sé. In essa, identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle
non ancora nate è un atto di rivolgimento amoroso verso i vicini
e i prossimi; ed è allegoria e figura di coloro che saranno. Il
comunismo è il processo materiale che vuol rendere sensibile
e intellettuale la materialità delle cose dette spirituali.
Fino al punto di sapere leggere nel libro del nostro medesimo
corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la
sovranità del tempo; e interpretarvi le tracce del passaggio
della specie umana sopra una terra che non lascerà traccia.
[f.f.]
Concezione materialistica
(dialettica della storia)
I presupposti da cui muoviamo non sono
arbitrari, non sono dogmi. Sono presupposti reali, dai quali si
può astrarre solo nellimmaginazione. Essi sono gli
individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di
vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto
quelle prodotte dalla loro stessa azione. Si possono distinguere
gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per
tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi
dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro
mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro
organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza,
gli uomini producono indirettamente la stessa loro vita
materiale. Individui determinati che svolgono unattività
produttiva secondo un modo determinato entrano in questi
determinati rapporti sociali e politici.
Linsieme di questi rapporti di
produzione costituisce la struttura economica della
società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura
giuridica e politica e alla quale corrispondono determinate
forme sociali della coscienza [<=]. La produzione
delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è
direttamente intrecciata allattività materiale degli
uomini, linguaggio della vita reale [<=]. Finora gli
uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi,
intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle
loro idee, essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della
loro testa sono diventati più forti di loro. Come non si può
giudicare un uomo dallidea che egli ha di se stesso, così
non si può giudicare unepoca di sconvolgimento dalla
coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare
questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con
il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i
rapporti di produzione. Daltronde è del tutto
indifferente quel che la coscienza si mette a fare per conto
suo: questi tre momenti la forza produttiva, la situazione
sociale e la coscienza possono e debbono entrare in contraddizione
tra di loro.
Questi presupposti sono constatabili,
dunque, per via puramente empirica. Questo modo di giudicare non
è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non
se ne discosta per un solo istante: i suoi presupposti sono gli
uomini, non in qualche modo fissati e isolati fantasticamente, ma
nel loro processo di sviluppo reale. Con gente priva di
presupposti dobbiamo cominciare col constatare il primo
presupposto di ogni esistenza umana. Il primo presupposto di
tutta la storia umana è naturalmente lesistenza di
individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è
dunque lorganizzazione fisica di questi individui e il loro
rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Ogni
storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e
dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per
lazione degli uomini.
Finora tutta la concezione della storia ha
puramente e semplicemente ignorato questa base reale della
storia. Per questa ragione si è sempre costretti a scrivere la
storia secondo un metro che ne sta al di fuori. La produzione
reale della vita appare come qualcosa di preistorico. Il punto
più alto cui giunge il materialismo intuitivo
cioè il materialismo che non intende la sensibilità come
attività pratica è lintuizione
degli individui singoli e della società borghese. Questa
dottrina materialistica della modificazione delle circostanze e
delleducazione dimentica che le circostanze sono modificate
dagli uomini e che leducatore stesso deve essere educato.
Essa è costretta quindi a separare la società in due parti,
delle quali luna è sollevata al di sopra della società.
Il punto di vista del vecchio materialismo è la società
borghese, il punto di vista del materialismo nuovo è la società
umana o lumanità sociale. Il rapporto delluomo con
la natura è quindi escluso dalla storia, e con ciò è creato
lantagonismo tra natura e storia (questa
concezione quindi ha visto nella storia soltanto azioni di capi,
di stati e lotte religiose e in genere teoriche). In ogni epoca
essa ha dovuto condividere lillusione dellepoca
stessa.
La storia non è altro che la successione
delle singole generazioni, ciascuna delle quali sfrutta i
materiali, i capitali, le forze produttive che le sono stati
trasmessi da tutte le generazioni precedenti, e quindi da una
parte continua, in circostanze del tutto cambiate,
lattività che ha ereditato; daltra parte modifica le
vecchie circostanze con unattività del tutto cambiata. È
un processo che sul terreno speculativo viene distorto al punto
di fare della storia successiva lo scopo della storia precedente.
Per questa via la storia riceve i suoi scopi speciali e ciò che
vien designato come scopo, idea della
storia anteriore altro non è che unastrazione della storia
posteriore, unastrazione dellinfluenza attiva che la
storia anteriore esercita sulla successiva.
A mano a mano che nel corso di questo
sviluppo si allargano le singole sfere che agiscono luna
sullaltra, la storia diventa sempre più storia
universale. Da ciò segue che questa trasformazione della
storia in storia universale è non già un semplice fatto
astratto di qualche fantasma metafisico, ma un fatto
assolutamente materiale, dimostrabile empiricamente, un fatto di
cui ciascun individuo dà prova nellandare e venire, nel
mangiare, nel bere e nel vestirsi.
Dalla concezione della storia che abbiamo
svolto otteniamo i seguenti risultati:
1. Nello sviluppo delle forze
produttive si presenta uno stadio nel quale vengono fatte
sorgere forze produttive e mezzi di relazione (rapporti sociali)
che nelle situazioni esistenti fanno solo del male, che non sono
più forze produttive ma forze distruttive.
2. Le condizioni entro le quali
possono essere impiegate determinate forze produttive sono le
condizioni del dominio di una data classe della società, la cui
potenza sociale scaturisce dal possesso di quelle forze.
3. In tutte le rivoluzioni finora
avvenute non è mai stato toccato il tipo dellattività, e
si è trattato soltanto di unaltra distribuzione di questa
attività, mentre la rivoluzione comunista [<=] si
rivolge contro il modo dellattività che si è
avuto finora e abolisce il dominio di tutte le classi
[<=] insieme alle classi stesse, poiché essa è compiuta
dalla classe che nella società odierna è già
lespressione del dissolvimento di tutte le classi.
4. Per la produzione in massa di
questa coscienza comunista è necessaria una trasformazione in
massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento
pratico, in una rivoluzione.
Una formazione sociale non perisce finché
non siano sviluppate tutte le forze produttive per la quale essa
offra spazio sufficiente; nuovi e superiori rapporti di
produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in
seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro
esistenza. I rapporti di produzione borghese sono
lultima forma antagonistica del processo di produzione
sociale; antagonistica non nel senso individuale, ma di un
antagonismo che sorge dalle condizioni di vita sociali degli
individui. E allora subentra unepoca di rivoluzione
sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge
più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura, in
una parola le forme ideologiche che permettono agli uomini
di concepire questo conflitto e di combatterlo.
Questa concezione della storia si fonda
dunque su questi due punti:
- spiegare il processo reale della
produzione, e precisamente muovendo dalla produzione materiale
della vita immediata;
- assumere come fondamento di tutta la
storia la forma di relazioni che è connessa con quel modo
di produzione e che da esso è generata.
Le idee della classe dominante sono in
ogni epoca le idee dominanti: cioè, la classe che è la
potenza materiale dominante della società è in pari
tempo la sua potenza spirituale dominante.
[k.m.]
[da Ideologia tedesca (1846), I, passim,
e da Prefazione a per la critica delleconomia
politica (1859)]
Conflittualità intercapitalistica
(anarchia della produzione)
Un segno distintivo e caratteristico del modo
di produzione capitalistico è dato dalla molteplicità
dei capitali in reciproca conflittualità. Senza tale
molteplicità conflittuale come unillusoria compatta
unicità esso neppure sarebbe concepibile. Da codeste
contraddizioni promana la caducità, sia ricorrente che
tendenziale, del sistema e lo stesso antagonismo di classe
tra borghesia e proletariato che è laltro, e il più
esteriore e apparente, segno distintivo. Con lo sviluppo del mercato
mondiale nellepoca dellimperialismo
[<=] il capitale (che Marx definiva
industriale in generale) si presenta in misura
crescente fuso con la sua forma monetaria (e
pure con la sua forma merce [<=]) nella figura di capitale
finanziario [<=]. Per tale motivo, sempre più
compiutamente il capitale complessivo sociale è
determinato duplicemente e contraddittoriamente, nel senso
anzidetto: da un lato, di contro al proletariato, esso deve
essere concepito come classe [<=], come capitale
collettivo, entità unica e intera; ma dallaltro,
entro la formazione economica sociale capitalistica in tutta la
sua complessità e articolazione, esso non può che essere
costituito dalle singole individualità dei molteplici
capitali [<=] particolari, tra loro contrapposti
nelle diverse forme funzionali. Questo duplicità
contraddittoria caratterizza lanarchia del modo di
produzione capitalistico, fondato appunto sulla molteplicità e
individualità dei capitali.
La divisione sociale del lavoro presuppone la
dispersione dei mezzi di produzione fra molti
produttori di merci indipendenti luno
dallaltro, e ciò permane e si accresce anche con il
passaggio al capitalismo monopolistico finanziario su scala
mondiale. La distribuzione tra le differenti attività sociali di
lavoro di codesti produttori capitalistici di merci e dei loro
mezzi di produzione è piuttosto arbitraria e casuale, e acuisce
le difficoltà del sistema ogni volta che tale casualità
moltiplica le interruzioni del ciclo complessivo del capitale.
Perciò, proprio contro questa dispersione del capitale
complessivo sociale in molti capitali individuali agisce lattrazione
di questi ultimi, la concentrazione di capitali già formati
il processo di fusioni e acquisizioni che
cerca di superare la loro autonomia individuale. Codesta è una
vera lotta attraverso lespropriazione del capitalista da
parte del capitalista, la trasformazione di molti capitali
minori in molti capitali più grossi, la centralizzazione
[<=] del capitali.
I differenti settori della produzione cercano
costantemente di mettersi in equilibrio. Ma questa tendenza
costante della produzione a equilibrarsi si attua soltanto come
reazione contro la costante distruzione di questo equilibrio.
La regola opera soltanto a posteriori nella divisione del
lavoro allinterno della società, come necessità naturale
interiore, muta sostiene Marx percepibile negli
sbalzi dei prezzi del mercato, che sopraffà larbitrio
sregolato dei produttori di merci. La divisione sociale del
lavoro contrappone gli uni agli altri i capitalisti in quanto
produttori indipendenti di merci, i quali non riconoscono altra
autorità che quella della concorrenza, cioè la
costrizione esercitata su di essi dalla pressione dei loro
interessi reciproci: come anche nel regno animale il bellum
omnium contra omnes preserva più o meno le condizioni di
esistenza di tutte le specie [Marx].
Ma le semplici metamorfosi della circolazione
[<=] delle merci, che i processi della circolazione del
capitale hanno in comune con ogni altra circolazione delle merci,
non spiegano come le differenti parti costitutive del
capitale sociale complessivo di cui i singoli capitali
sono soltanto parti costitutive che operano in modo autonomo
si sostituiscano reciprocamente nel processo di
circolazione specificamente capitalistico. Poiché
laccumulazione di capitale e la concentrazione che a essa
corrisponde sono disseminate su molti punti, laumento dei capitali
operanti [<=] sincrocia con la formazione di
capitali nuovi e con la scissione di capitali vecchi. Se quindi
da un lato laccumulazione si presenta appunto come
concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando
sul lavoro, dallaltro si presenta come repulsione
reciproca dei capitali molteplici individuali. Ogni
capitale particolare, infatti, conformemente allessenza
della produzione capitalistica, non è condizionato
primariamente dalla necessità di soddisfare la domanda
(ordinazioni produttive o bisogno privato), ma innanzitutto
dalla tendenza a realizzare il lavoro, e quindi il pluslavoro,
più grande possibile e a fornire con un capitale dato la maggior
massa possibile di merci. Ogni singolo capitale cerca così
di occupare sul mercato il posto più grande possibile e di
eliminare, di scacciare i suoi concorrenti. La conflittualità
tra i capitali implica la separazione individualistica dei
capitali (lesistenza di capitali individuali realmente
separati) e la contrapposizione essenziale, immanente, tra loro
nelle rispettive sfere di influenza sul mercato mondiale, Sono
i fratelli nemici della massoneria del capitale
afferma Marx ossia quei capitalisti che si
comportano come dei falsi fratelli quando si fanno concorrenza,
anche se costituiscono una vera massoneria nei
confronti della classe operaia nel suo complesso.
Lintera questione con le parole
di Marx è posta in questi termini. Il capitale non
include solo dei rapporti di classe un determinato
carattere sociale che si fonda sullesistenza del lavoro
come lavoro salariato ma è un movimento, un
processo ciclico attraverso stadi differenti; perciò può essere
concepito soltanto come movimento e non come cosa in
riposo. Coloro che considerano questo autonomizzarsi del valore
come pura e semplice astrazione [<=], dimenticano che
il movimento del capitale industriale è questa astrazione in
atto. Il valore percorre qui forme differenti, differenti
movimenti, nei quali si conserva e contemporaneamente si
valorizza, si ingrandisce. Nonostante tutte le rivoluzioni di
valore, la produzione capitalistica esiste e può continuare a
esistere soltanto finché il valore capitale venga valorizzato,
cioè finché le rivoluzioni di valore in un modo qualsiasi
vengono superate e composte. I movimenti del capitale appaiono
come azioni del singolo capitalista industriale. Se il valore
capitale sociale subisce una rivoluzione di valore, può
avvenire che il suo capitale individuale le soccomba e perisca,
poiché non può adempiere le condizioni di questo movimento di
valore. Quanto più acute e frequenti diventano le rivoluzioni di
valore, tanto più il movimento del valore autonomizzato,
automatico, operante con la violenza di un processo elementare di
natura, si fa valere contro la previsione e il calcolo del
singolo capitalista, tanto più il corso della produzione
normale viene ad assoggettarsi alla speculazione
[<=] anormale, tanto più grande diviene il pericolo
per lesistenza dei capitali singoli.
Il processo continua del tutto normalmente
solo finché le perturbazioni nella ripetizione del ciclo si
compensano; quanto maggiori sono le perturbazioni, tanto
maggiore capitale monetario deve possedere il capitalista
industriale per essere in grado di attendere la compensazione;
poiché col procedere della produzione capitalistica si allarga
la scala di ogni processo individuale di produzione e con
essa la grandezza minima del capitale da anticipare, quella
circostanza si aggiunge alle altre che sempre più trasformano
la funzione del capitalista industriale in un monopolio
di grandi capitalisti monetari, isolati o associati.
Lesistenza del mercato [<=] come mercato
mondiale contrassegna il processo di circolazione del
capitale industriale. Le premesse marxiane per
laffermazione del capitale monopolistico finanziario
dellimperialismo sono chiarissime, così come ne sono
evidenti le cause e le forme della crisi. Nella considerazione
congiunta del processo complessivo di produzione e circolazione,
Marx opera infatti con la coppia anarchia del capitale / crisi
da sovraproduzione.
La molteplicità dei capitali si manifesta
compiutamente nel passaggio dalla produzione alla circolazione.
Mentre per lanalisi della produzione si può
provvisoriamente partire dalla considerazione di un unico
capitale opposto a ununica forza-lavoro [<=], per
la circolazione è essenziale che un capitale intrattenga
rapporti di compera e vendita con un altro capitale almeno
(molteplicità dei produttori capitalistici). Né la produzione da
sola (incapace di verificare la realizzazione del plusvalore
[<=]), né la circolazione da sola (incapace di
spiegare da dove provenga quel plusvalore, ossia la sua
origine) permettono di comprendere la crisi. Per questa ragione
la crisi non è mai posta, se non incidentalmente, da Marx con
riguardo al capitale collettivo come intero. Dunque, è solo la conflittualità
tra i capitali molteplici che pone la crisi da
sovraproduzione [<=]. Senonché, per esserci tale conflittualità
tra capitali occorre, ma non basta, che vi siano capitali
individuali realmente separati (ossia la molteplicità dei
capitali); occorre altresì che oltre alla semplice separazione
tra le singole individualità indipendenti, si consideri anche
la ricordata loro essenziale conflittualità, come contrapposizione
immanente. La stessa interpretazione delle crisi e tanto
più ciò vale per le lunghe crisi irrisolte
dellimperialismo dipende da questa determinazione
centrale del modo di produzione capitalistico, ossia dal suo
carattere anarchico fondato sulla molteplicità e individualità
dei capitali contrapposti.
[gf.p.]
(i testi, integrali e riferiti, di Marx sono
tratti principalmente dal Capitale, I.23, II.3 e 4, oltre
pochi altri punti da C.III e TP.II)
Consenso
Delle mie istruzioni non hai omesso nulla
in quello che dovevi dire: così,
con grande naturalezza e rara diligenza, i
miei spiriti minori hanno eseguito le loro parti.
I miei potenti incantesimi operano, e
questi miei nemici sono tutti irretiti
nel loro delirio: sono ora in mio potere. [Shakespeare]
È una disgrazia essere un lavoratore
produttivo [<=] afferma Marx. Un lavoratore
produttivo è un lavoratore che produce ricchezza per altri.
La pratica del consenso tende a fornire le opportune
condizioni affinché tale plusvalore [<=] continui ad
essere prodotto non per i lavoratori stessi (in qualità
di pluslavoro a disposizione della società complessiva) ma per i
proprietari delle condizioni di produzione. È certo che
lattuale fase di crisi pone con urgenza il problema della
costruzione della collaborazione dei diversi soggetti sociali
al processo della produzione e al più complessivo
funzionamento dellorganismo sociale su di essa modellato:
il problema, cioè, del consenso.
La centralità del consenso si presenta
celata sotto forma di comunicazione [<=],
allinterno di un codice ampio di comportamenti linguistici
[<=] vòlti a favorire, nelle loro conseguenze ultime,
laccettazione, senza possibilità di intervento, delle
modalità comportamentali funzionali alla salvaguardia
dellorganismo sociale. La centralità del consenso emerge
ove si consideri che le dimensioni della crisi in atto
porteranno masse di lavoratori, e sia pure negli iniziali limiti
definiti da un generico sacrifici uguali per tutti,
ad una prassi autonoma dal meccanismo di controllo
neocorporativo [<=], e dunque il consenso, pur di impedire
la polarizzazione dello scontro, reimposta i termini
comunicativi in funzione del riavvicinamento degli
scontenti alle modalità dellorganismo sociale.
Possiamo osservare come, da questa base, si perverrà ad un
affinamento delle diverse funzioni del consenso e quindi a una
sua organizzazione più precisa, la qual comporta, oltre
allattrezzatura ideologica, pertinenti carote
materiali (concessioni minime, mutamenti parziali di rotta nelle
manovre economiche, ecc.), e, visti i limitati margini concreti
per assolvere finanziariamente e riformisticamente a tali
contentini, un aumento nelluso del
bastone repressivo.
La vita sociale rende necessario subordinare
il comportamento dellindividuo alle esigenze poste
dallorganismo sociale e crea con ciò complessi sistemi
di segnalazione, i mezzi di comunicazione, che dirigono e
regolano la formazione dei nessi condizionati nel cervello del
singolo uomo. Leducazione è lo strumento migliore di cui
lautorità si può servire per indicare e imprimere nelle
coscienze dei singoli individui quel modello. Attraverso la
formazione, lautorità tende a costruire gli
individui nel modo che le risulta più congeniale ai fini del
funzionamento dellorganismo sociale. Lautorità, se
ricompensa e promuove coloro i quali dimostrano di condividere
gli obiettivi dellorganismo sociale, punisce gli oppositori
in modo da regolare il comportamento e mantenere il controllo.
Con la dialettica promozione/repressione indica automaticamente a
tutti gli altri qual è il modello di comportamento gradito.
[n.g.]
Contratto di lavoro
Sempre più spesso, anche tra
comunisti e sindacalisti, si ha
limpressione di uno sbandamento che fa ripiombare
indietro nei secoli, in unepoca prescientifica (e
premarxista), nella quale la confusione sul salario della forza-lavoro
[<=] è tale da far reputare il salario quale un semplice
nome (come già faceva il proudhoniano Rossi prima
dei marginalisti, di Keynes e di Sraffa). Tale nome sarebbe
quello dato al pagamento, in forma di reddito, del capitale
umano e della capacità lavorativa.
Si compie così, anche nelle scomposte file
disinistra, la grande scoperta che il salario è
dato dallequilibrio tra domanda e offerta (una grande
novità di cui bisogna avvertire marginalisti e keynesiani!).
Il salario stesso non è più, da molti, compreso come
sussistenza sociale, globale per lintera classe
[<=] lavoratrice al livello storico del mercato mondiale,
solo perché, costoro dicono, anche i lavoratori risparmiano (in
tal maniera confondendo decisamente nella ambigua e vuota
categoria risparmio [<=] il reddito non
consumato dei proletari col capitale accumulato dei borghesi).
Tale confusione è di chi non comprende la trasformazione del denaro,
che è valore, in capitale, che è un rapporto
sociale (ossia di chi non capisce neppure il significato del
consumo differito di classe, in quanto salario sociale non
individuale).
Travisando Marx in questa maniera, che
offende non tanto il marxismo (trattandosi di
uninterpretazione scientifica della realtà) ma la realtà
stessa, allora, è ovvio che quegli sbandati predichino la
necessità del superamento dellideologia del
lavoro-merce. Ideologia? [sic!]. Nemmeno di forza-lavoro
riescono a parlare, giacché di essa disconoscono la peculiare
identità e determinazione scoperta da Marx.
La mina messa per far saltare lintera
costruzione marxista del socialismo scientifico
consiste dunque nella bella (ri)scoperta (pre)anti-marxista che
il lavoro non è merce: che gran novità!
(Daltronde, al pari di diversi male avventati sognatori
disinistra, anche il papa predica tale sciocchezza,
pur continuando a parlare, come gli altri, di mercato del
lavoro: un mercato senza merce - misteri della fede!).
Soppressa la forza-lavoro e il suo concetto specifico, sparisce
così la sua stessa duplicità contraddittoria: lo scambio equo
che pone e presuppone il suo uso iniquo, su precise basi
economiche, non è più riconosciuto perché non più
riconoscibile. Il plusvalore è cancellato pertanto con un
colpo di spugna. Cacciato dai luoghi della scienza, lo
sfruttamento può felicemente tornare ad albergare nei meandri
delletica, come sempre hanno preteso i socialisti borghesi
e Proudhon, riformisti, revisionisti, e le anime belle del
liberalismo, anche lab e disinistra.
Ergo, dice da sempre il pensiero
dominante nellepoca del capitale, non si dà nessuno
scambio, ma semplicemente e direttamente un rapporto
di prestazione, un contratto dobbligo
stabilito su basi istituzionali: solo a questo si ridurrebbe
infine il contratto di lavoro. Siccome tale
contratto, si prosegue, è il risultato di un rapporto di
forza (immediata e primigenia, diceva Dühring, prestando
tale sua scoperta alla gaia congregazione di Keynes, Sraffa
& co.), è in esso che si dovrebbero vedere assommati tutti
i mali del capitalismo.
Lo sfruttamento ci sarebbe solo perché è
cattivo il contratto, mediante il quale si avrebbe direttamente
la alienazione [<=] della libertà.
Perché mai ciò dovrebbe avvenire, in un contesto in cui però
non si riconosce lalienazione - ossia la vendita
ad altri - della forza-lavoro come merce, laddove gli
altri non sono più considerati in quanto
caratterizzati dalla proprietà, rimane un mistero
scientificamente inspiegabile.
Il mitico compagni, parliamo dei
rapporti di proprietà!, esclamato da Brecht rivolto ai
deboli pensatori intellettuali dei suoi tempi bui, risuona
ancora alto come allora, ma come allora vano per chi,
bellamente, non alla separazione tra proprietari e non
proprietari, ma ad arbitrio e sopruso che sopraffanno giustizia e
bontà, attribuisce le condizioni di vita del proletariato (o
dei cittadini poveri, come essi preferiscono
supporre).
Se per costoro lo sfruttamento deriva
esclusivamente dal rapporto giuridico (senza che sia dato il
bene di sapere da che cosa derivi a sua volta tale rapporto
giuridico), il trucco è svelato: basta sostituire un
contratto dopera al posto di un contratto
di lavoro vero e proprio, e il salario (già di per
sé così rattrappito in mera retribuzione diretta individuale)
con buoni di lavoro (come ha loro insegnato
Proudhon). Ma non si accorgono che proprio questo è ciò che,
sotto gli scudi del neocorporativismo, già fanno i padroni?
Non occorrono certo i loro suggerimenti
disinistra per deregolamentare anche il mercato del
lavoro. Sicuramente Romiti non ha aspettato nessuna loro
imbeccata per rivendicare la necessità di farla finita con
lobsoleta contrattazione collettiva di lavoro,
rimandando tutto il rapporto al potere aziendale. Oggi, col
lavoro irregolare, una tale prospettiva è portata avanti quale
sperimentazione per tutto il lavoro salariato. Domani (e
ormai è letteralmente domani), legalizzando
lillegalità, lo scambio di forza-lavoro contro
capitale, il vero e proprio contratto di lavoro
svanisce, così da dissimulare il lavoro dipendente (che dipende
dal capitale) definitivamente come il suo opposto, ovverosia una
forma paritetica e partecipata di relazionalità formalmente
indipendente, racchiuso solo in regole
istituzionalistiche? Bella prospettiva!
[gf.p.]
Cooperative
Sia i successi che i fallimenti conducono
alla centralizzazione del capitale, e quindi
allespropriazione su una scala enorme, che si estende dai
produttori diretti agli stessi capitalisti piccoli e medi. Tale
espropriazione costituisce il punto di partenza del modo di
produzione capitalistico, e allo stesso tempo il suo scopo, che
è, in ultima analisi, quello di espropriare i singoli
individui dei mezzi di produzione, che con lo sviluppo della
produzione sociale cessano di essere mezzi della produzione
privata e prodotti della produzione privata, e che possono essere
ancora soltanto mezzi di produzione nelle mani dei produttori
associati, quindi loro proprietà sociale, così
come sono loro prodotto sociale.
Ma nel sistema capitalistico questa
espropriazione riveste laspetto opposto, si presenta come
appropriazione della proprietà sociale da parte di pochi
individui, e il credito [<=] attribuisce a questi
pochi sempre più il carattere di puri e semplici cavalieri di
ventura. Che lanima del nostro sistema
industriale non siano i capitalisti industriali, ma i managers
industriali, è già stato messo in rilievo dal sig. Ure. Il
lavoro di sovrintendenza e di direzione, in quanto scaturisce
dal carattere antagonistico, dal dominio che ha il capitale sul
lavoro, è comune a tutti i modi di produzione, oltre a
quello capitalistico, che si fondano sullantagonismo di
classe, e anche nel sistema capitalistico è collegato
direttamente ed indissolubilmente con le funzioni produttive
che ogni lavoro sociale combinato impone a singoli individui
come lavoro particolare; è completamente distinto dal profitto
e assume anche la forma di salario per lavoro qualificato, non
appena limpresa è esercitata su una scala
sufficientemente grande per pagare un tale dirigente (manager)
[<=], quantunque i nostri capitalisti industriali siano ben
lungi dalloccuparsi di affari di stato o di
filosofia. La confusione tra guadagno
dimprenditore e salario di sorveglianza o di amministrazione
[<=] è derivata originariamente dalla forma antagonistica
che assume, rispetto allinteresse, leccedenza del
profitto sullinteresse [<=].
Essa è stata in seguito sviluppata nella
apologetica intenzione di rappresentare il profitto non come
plusvalore, ossia come lavoro non pagato, ma come salario del
capitalista stesso per il lavoro reso. Al che allora si
contrapponeva, da parte dei socialisti, la rivendicazione che
il profitto venisse ridotto in pratica a ciò che esso
pretendeva di essere in teoria, cioè al semplice salario di
sorveglianza. E questa rivendicazione veniva a contrapporsi
alle belle frasi teoriche in modo tanto più spiacevole, in
quanto, da un lato, questo salario di sorveglianza, come
qualsiasi altro salario, era determinato nel suo livello e nel
suo prezzo di mercato dalla formazione di una classe numerosa
di managers industriali e commerciali, e, daltro
lato, esso diminuiva tanto più, come ogni salario per il
lavoro qualificato, con lo sviluppo generale che riduce il costo
di produzione della forza-lavoro particolarmente specializzata.
Il capitalista scompare dal processo di
produzione come personaggio superfluo e rimane unicamente il
funzionario. Dopo ogni crisi [<=] si può vedere un
buon numero di ex fabbricanti che sovrintendono per un
salario moderato le fabbriche di cui essi erano precedentemente
proprietari in veste di direttori dei nuovi proprietari, che
sono spesso i loro creditori. Il capitalista industriale
[<=] è, rispetto al capitalista monetario [<=], un
lavoratore, ma un lavoratore in quanto capitalista, ossia in
quanto sfruttatore di lavoro altrui.
Dire che questo lavoro è necessario come
lavoro capitalistico, come funzione del capitalista, non
significa che leconomista volgare non può rappresentarsi
le forme che si sono sviluppate in seno al modo di produzione
capitalistico, quando esse si sono separate e liberate dal loro
carattere capitalistico antagonistico. Con lo sviluppo delle cooperative
da parte dei lavoratori, e delle società per azioni da
parte della borghesia, viene meno anche lultimo pretesto
per confondere il profitto dimpresa col salario di
direzione. La produzione capitalistica stessa ha fatto sì che
il lavoro di direzione, completamente distinto dalla proprietà
di capitale, vada per conto suo. È diventato dunque inutile
che questo lavoro di direzione venga esercitato dal
capitalista. Un direttore dorchestra non ha affatto
bisogno di essere proprietario degli strumenti
dellorchestra, come pure non appartiene alla sua funzione
di direttore di occuparsi in qualsiasi modo del salario degli
altri musicisti.
Le fabbriche cooperative forniscono la
prova che il capitalista, in quanto funzionario della produzione,
è diventato superfluo, proprio come egli stesso, pervenuto al
grado più elevato della sua cultura, stima superfluo il
proprietario terriero. In quanto il lavoro del capitalista non
proviene dal processo della produzione inteso come puramente
capitalistico, dunque non cessa col capitale stesso; in quanto
esso non si limita alla funzione di sfruttare il lavoro altrui;
in quanto esso proviene dalla forma del lavoro come lavoro
sociale, dalla combinazione e dalla cooperazione di molti in
vista di un risultato comune, esso è del tutto indipendente
dal capitale, proprio come questa forma stessa, non appena essa
spezzi linvolucro capitalistico.
Il salario di amministrazione, sia per il
dirigente commerciale che per quello industriale, appare
completamente distinto dal guadagno dimprenditore,
tanto nelle fabbriche cooperative appartenenti ai lavoratori,
quanto nelle società per azioni capitalistiche. Nelle
fabbriche cooperative il carattere antagonistico del lavoro
di sorveglianza è soppresso, perché il dirigente è pagato dai
lavoratori, invece di rappresentare, di fronte ad essi, il
capitale. Lantagonismo tra capitale e lavoro è abolito
allinterno di esse, anche se dapprima soltanto nel senso
che i lavoratori, come associazione, sono capitalisti di se
stessi, cioè impiegano i mezzi di produzione per la
valorizzazione del proprio lavoro.
Queste fabbriche cooperative dimostrano
come, a un certo grado di sviluppo delle forze produttive
materiali e delle forme di produzione sociale ad esse
corrispondenti, si forma e si sviluppa naturalmente da un modo
di produzione [<=] un nuovo modo di produzione. Senza il
sistema di fabbrica, che nasce dal modo di produzione
capitalistico, e così pure senza il sistema creditizio, che
nasce dallo stesso modo di produzione, non si potrebbe sviluppare
la fabbrica cooperativa. Il sistema creditizio, come forma la
base principale per la graduale trasformazione delle imprese
private capitalistiche in società per azioni capitalistiche,
così offre il mezzo per la graduale estensione delle imprese
cooperative su scala più o meno nazionale.
Dai rendiconti pubblicati dalle fabbriche
cooperative si vede che - detratto il salario del dirigente,
che costituisce una parte del capitale variabile speso,
proprio come il salario degli altri lavoratori - il profitto era
più elevato del profitto medio, sebbene queste società
pagassero talvolta un interesse più elevato dei fabbricanti
privati. La causa del profitto più elevato era in tutti questi
casi una maggiore economia nellimpiego del capitale
costante. Poiché il profitto qui era maggiore del profitto
medio, anche il guadagno dimprenditore era maggiore del
solito. Le imprese azionarie capitalistiche sono da considerarsi,
al pari delle fabbriche cooperative, come forme di passaggio dal
modo di produzione capitalistico a quello associato, con la unica
differenza che nelle prime lantagonismo è stato eliminato
in modo negativo, nelle seconde in modo positivo. Le fabbriche
cooperative degli stessi lavoratori sono, entro la vecchia
forma, il primo segno di rottura della vecchia forma, sebbene
dappertutto riflettano e debbano riflettere, nella loro
organizzazione effettiva, tutti i difetti del sistema
vigente.
[k.m.]
Cooperative # 2
(produzione associata)
Nel mercato mondiale [<=]
capitalistico prevale il conflitto tra grande capitale
monopolistico finanziario e il resto dellapparato economico
(capitale minore, separato o artigianale, cooperative, ecc.). Il
sistema delle cooperative [<= # 1] e più
specificamente delle cooperative di produzione, non quello
ridotto (riformista) delle cooperative di consumo,
concettualmente non antagonistiche assume un
significato differente in un contesto non più dominato dal modo
di produzione capitalistico, in particolare nella transizione
socialista. La differenza contestuale fa cambiare
completamente limpostazione del problema e la portata delle
sue conseguenze. La prospettiva della produzione associata nelle
cooperative muta completamente se deve o non deve fare i conti
con il predominio del mercato (mondiale) dei capitali. È
determinante la differenza specifica che può e deve svolgere il
cooperativismo nella semplice prospettiva di rimanere entro il
modo di produzione capitalistico o in quella, assai più
complicata, di capovolgerlo. Evidente è perciò la funzione che
non possono non avere le cooperative nella lotta di classe
[<=], ben oltre quella solo prefigurante della produzione
materiale.
Anche il credito [<=] che è
fondamentale per gli sviluppi di entrambe le strutture
imprese capitalistiche, soprattutto nella forma delle spa
[<=] e cooperative ha destinazioni quasi opposte. Se le
cooperative hanno a che fare con il sistema bancario, col
capitale monetario e delle merci, rimangono schiacciate e, da
sole, non sono in grado di rovesciare il sistema dominante.
Il sistema creditizio sostiene Marx a proposito
della funzione del credito come forma la base principale
per la graduale trasformazione delle imprese private
capitalistiche in società per azioni [<=]
capitalistiche, così offre il mezzo per la graduale estensione
delle imprese cooperative su scala più o meno nazionale. E
osserva quanto ripetutamente espresso sulla differenza tra spa
e cooperative: le imprese azionarie capitalistiche
sono da considerarsi, al pari delle fabbriche cooperative, come
forme di passaggio dal modo di produzione capitalistico a
quello associato, con lunica differenza che nelle prime
lantagonismo è stato eliminato in modo negativo,
nelle seconde in modo positivo.
Nel sistema capitalistico e in misura
crescente via via che si sviluppano le spa
lespropriazione della maggioranza (i lavoratori produttori)
si presenta come appropriazione (in forma privata) della
proprietà sociale da parte di pochi individui. È bene
sottolineare che la produzione, come nelle spa, anche
nelle fabbriche cooperative conserva la propria forma privata:
ma, in entrambi i casi, codesta forma privata non
è più individuale ma collettiva, di classe
(borghese la prima, proletaria la seconda, ed è ciò che qui
interessa). Essa, infatti, implica una connotazione
sociale che, come tale, anticipa ma prepara
soltanto il superamento del modo di produzione
capitalistico stesso. Se non muta il modo di produzione, è
perciò prima o poi impossibile, anche per la cooperative, non
diventare imprese come le altre. Era opinione anche di Lenin che
il pieno funzionamento della produzione e dello scambio futuri
possa essere appena preparato dalle cooperative, ma
effettualmente potrà aver luogo solo dopo
lespropriazione dei capitalisti.
Le cooperative dei lavoratori, perciò, come
detto in positivo precisa ancora Marx
sono, entro la vecchia forma, il primo segno di rottura
della vecchia forma, sebbene esse dappertutto riflettano e
debbano riflettere, nella loro organizzazione effettiva, tutti i
difetti del sistema vigente. Ma lantagonismo tra capitale e
lavoro è abolito allinterno di esse, anche se dapprima
soltanto nel senso che i lavoratori, come associazione, sono
capitalisti di loro stessi, cioè impiegano i mezzi di produzione
per la valorizzazione del proprio lavoro. È così che le
cooperative di produzione dimostrano e non
possono far altro che dimostrare come sia possibile
che, a un certo grado di sviluppo delle forze produttive
materiali e delle forme sociali a esse corrispondenti, si formi e
si sviluppi naturalmente da un modo di produzione un nuovo modo
di produzione.
Come altrove spiegato, in tutte le condizioni
sociali della produzione il capitalista in quanto
tale può scomparire dal processo di produzione come personaggio
superfluo; rimane unicamente il dirigente [<=] come
funzionario (del resto, lo stesso borghese,
raggiunto il sufficiente sviluppo storico e culturale la coscienza
[<=] della propria classe aveva considerato
superfluo il proprietario terriero). Così, con lo
sviluppo delle cooperative da parte dei lavoratori, al
pari (ma allopposto) di quello delle società per azioni
da parte della borghesia, viene meno anche lultimo pretesto
per confondere il profitto dimpresa che
leconomia tenta di commisurare allattività e non
alla proprietà col salario di direzione, poiché è
inutile che questo lavoro di direzione venga esercitato dal
capitalista.
La classe proletaria, pervenendo alla
produzione associata, svela così il carattere di
oggettiva socializzazione nascosto anche nella produzione
capitalistica. Ma non può mai farlo assurgere a forma dominante
(in ogni variante, dal volontariato alla solidarietà,
dallutilità immediata a qualsivoglia fuoriuscita dal
mercato) finché rimanga entro il sistema mondiale del capitale.
Antonio Gramsci, nel 1921, ammoniva che i riformisti
portano come "esemplare" il socialismo reggiano
perché vorrebbero far credere che lItalia e tutto il
mondo può diventare una sola grande Reggio Emilia, dove,
appunto, lesperienza mutualistica di quel
socialismo, se guardata con occhi disincantati,
mostrava già tutti i segni del fallimento, ossia del suo pieno
inserimento nel sistema capitalistico. Lenin metteva in
guardia contro le illusioni cooperativistiche,
poiché, le cooperative non essendo affatto organizzazioni di
classe, se non se spiega bene il carattere di proprietà
privata (che permane sempre, seppure collettiva), è
inevitabile prendere una strada sbagliata.
[gf.p.]
Coscienza
(i proprietari della coscienza)
I proprietari della coscienza riescono
continuamente a sostituire il discorso comune,
di chi ricerca la comunanza di oggetti e di argomenti al di là
della mistificazione indotta dalla falsa democrazia culturale,
con il senso comune di chi invece è ormai portatore
e veicolo di questultima. Comunismo
[<=], ad esempio, è indicato nel senso comune che proviene
dalla parte che non si è scelta come propria, bensì come quella
una volta nemica. Mai come il percorso per giungere a costruire
lobiettività di un reale, in cui è possibile una
comunicazione e scambio tra ruoli sociali, liberi
dallimposizione necessaria del denaro. La coscienza
professionale o di successo ha sostituito la coscienza di
classe, collettiva [<=]. Permette di usare il linguaggio
[<=] o le tematiche una volta socialiste per i còmpiti
delle alte dirigenze industriali. [In occasione dello stato di
crisi dellOlivetti, le dichiarazioni televisive di
DAntoni concertato con governo e industria,
cui vendere flessibilità [<=] lavorativa altrui in
cambio di privato potere sindacale dànno conto del canone
ideologico unico, nellidentità di sviluppo del capitale
eternizzato]. Oppure gli scambi continui di persone (dal Pci a
Forza Italia) e di parole dordine (lavorare meno,
lavorare tutti), lassorbimento della stampa della
sinistra cosiddetta, o degli intellettuali in genere,
innestati nella Democrazia Circolare e Generalizzata,
unitamente al drappeggio progressista dei coristi del mondo
letterario e artistico, sono la carretta di quella buona
coscienza" progressista (al Pds va di moda il
buonismo), di cui le forze economicamente dominanti
hanno continuamente bisogno per reiterare libertà illusorie.
Se la lotta per il comunismo può essere
esclusa per questa via, privata di contraddittorietà, è
compito del marxista schernire almeno le nobili angosce del mercato
[<=] competitivo mascherate di ottimismo, di persuasione per
avercela fatta ad assicurare al paese progresso e democrazia. Se
distinguere è ormai difficile, forse non si deve far nulla per
distinguere lideologia di un funzionario
dellOlivetti da quella di uno del Pds (lèggasi pure De
Benedetti e DAlema). Che levidenza si spieghi nella
sua completezza, può essere, nelloggettiva confusione,
germe di una coscienza più resistente alle sirene
dellaffidamento ai leaders. Tolleranza diffusa, in
particolare sulle cose del sesso, decisa scelta della
banalità, ritardo della cultura dei sentimenti o delle
passioni sulla cultura dellinformazione e
dellintelligenza, ecc., sono gli ingredienti che forniscono
certezza sullefficacia democratica dei tabù che contano:
quelli economico-sociali. Così, la dirigenza sindacale
cosciente si avvale oggi della stabilità della sua
canonizzazione istituzionale per inscenare pièces di
ribellismo protetto, soprattutto verbale o di parata. Lo
sciopero, in tal senso, funge già da tempo o da oggetto di
demonizzazione, come guerra tra poveri (principio di
autoregolazione sociale per la neutralità delle autorità
democratiche) o dinflazione, come dispersione controllata
delle forze di massa (si pensi a quello per le pensioni
dellottobre 94). Arma trasformata in potere
sindacale, viene agitata per riaffermare il diritto, da un lato,
di rappresentanza fondato sullillusione della delega,
dallaltro, di affrontare a pari titolo con le aziende i
problemi produttivi e i programmi di ristrutturazione, per
veicolarne lattuazione consensuata.
Allintegrazione di ogni antagonismo
occorre infine la scuola, solo ad hoc ammodernata. La
preselezione della mano dopera richiede unistruzione
[<=] e una pedagogia, di classe [<=], per
consumatori disciplinati. La cultura dimpresa,
già introdotta nelle aule di stato, è solo unappendice di
quella fabbrica della coscienza che, fino
alluniversità e oltre, regola reclutamenti e selezioni in
modo da garantire solo certi esiti. Luso reazionario
dellindistinzione culturale, tanto destinata al
consumatore di subcultura quanto allélite, avrebbe
dovuto produrre obbedienza, integrazione, identità sociale
assoluta. Ma solo a seconda del suo innesto in un determinato
contesto di valori [<=] ciò risulterà possibile.
Altrimenti svelerà la sua incoerenza rinviando perciò stesso ad
altro da sé. Prima si soleva pensare a questalterità in
termini di rivoluzione [<=] socialista. Linizio
di questa così come il suo attuale arresto
richiede una coscienza (sociale) che in primo luogo sappia
di essere usata come riflesso di un ordine contraddittorio della
realtà, i cui strumenti di rilevazione suggeriti non consentono
verifiche.
[c.f.]
(il testo qui proposto per la definizione di
una coscienza, oggi diffusamente compiuta ma ancora al di sotto
della consapevolezza sociale, consiste semplicemente in un collage
come riscrittura tratta da Franco Fortini, Verifica dei poteri,
Einaudi, Torino 1956)
Coscienza collettiva
Cosa sia la coscienza [<=] è già
di per sé cosa difficile. Collettiva, per giunta,
rischia di rimanere incomprensibile, proprio a coloro che del
collettivo dovrebbero essere costituenti attivi.
Incomprensibile, così, si è fatta diventare e con la massima
estensione possibile (quella dettata dal mercato), secondo
lintento dei nostri avvicendati governanti occupati, full
immersion, nel governo della governabilità. A
ricordo di cosa fosse stata la coscienza, o nellanalisi di
cosa sarà, è utile ripercorrere alcune argomentazioni a partire
dal piano giuridico [cfr. Ugo Rescigno, A proposito di prima
e seconda repubblica, in Studi parlamentari e di politica
costituzionale, n.103, 1994, di cui qui si riporta, tra
laltro, una sintesi mirata]. Se innanzitutto si dovesse
considerare questo presente come prima o
seconda repubblica, sarebbe almeno necessario
notare un cambiamento: coloro che una volta dichiaravano di
opporsi alla seconda, se ancora esistono, non sono
più visibili. Dato che i mutamenti ad altro ordinamento,
stato o sistema, sono caratterizzati da:
a) un primo elemento sostanziale
(coperto da un tempo più o meno lungo);
b) un secondo elemento formale,
derivato (per sua natura istantaneo, comprensibile solo come
fatto unitario).
La continuità ed estinzione dello stato, del
sistema e del diritto dipende da interazioni di questi ordini
di problemi, che però rimangono distinti e ricevono soluzioni
indipendenti. La rottura, infatti, dellordinamento
precedente non dipende da un singolo atto illegittimo, se
viene attivato il rimedio contro lillegittimità, previsto
dal regolamento, ma dipende al contrario dai livelli di
consapevolezza e dal significato che i
protagonisti attribuiscono agli avvenimenti. In altre parole, la
permanenza o meno di una Costituzione (del diritto in genere),
non dipende da decisioni o fatti per quanto
ripetuti possano essere nella stessa direzionalità
bensì dai rapporti di forza [<=] ed equilibri politici
e sociali principali. Il loro venir meno o riprendere il
sopravvento determinati dalla coscienza collettiva
(di quelli manifestazione interna, ma anche emancipazione
soggettiva e relazione unitaria in divenire tra sapere e
realtà) fanno sì che lammissibilità della
revisione costituzionale alla luce della costituzione vigente, o
al contrario, polarizzazioni con opposti obiettivi, costituiscano
i termini di soluzioni giuridiche altrimenti imponderabili. Tra
questi due casi estremi, poi, sono da ipotizzare tanti casi
intermedi quanti ne sono possibili, per i quali non
esistono regole. Al contrario, sono queste che discendono
dallesito determinato proprio dai suddetti rapporti di
forza. Sul piano storico, politico, sociale e psicologico sono da
fare valutazioni che non riguardano solo il fatto oggettivo del
mutamento complessivo, avvenuto e più o meno radicale, ma la sua
durata (modificazioni avvenute in maniera impercettibile, non
avvertite come rottura col passato), e con la durata, la percezione
collettiva di esso.
Solo nel caso in cui il mutamento non
sia stato lento, molecolare, progressivo, ma anzi rapido,
concentrato, tumultuoso la collettività percepisce il
mutamento e lo vive, sentendolo come rottura sostanziale
tra vecchio e nuovo. Le convinzioni collettive sono
quindi elemento determinante per argomentare e giudicare
anche in merito al diritto [<=] costituzionale
se un fenomeno è da considerarsi e da trattarsi in modo
unitario o meno. Una rottura sul piano formale può, ad esempio,
non corrispondere su quello contenutistico, nella successione
dei singoli atti fondamentali, e viceversa. Non solo il reale nel
suo oggettivo determinarsi, dunque, ma il percepito nella
psichizzazione del vissuto, come modalità di unificazione
o valorizzazione degli eventi, quindi di capacità di lotta, è
da tempo il fulcro di una colonizzazione, senza esclusione di
colpi, da parte della classe dominante allattacco. E
lattacco emerge dallabbandono dei contenuti,
princìpi e valori della Costituzione del 1948 e
non solo oltreché dal progressivo disfarsi, sul
piano anche formale, della pratica costituzionale. Il
partito delletere di un Berlusconi, di chiaro stampo
americano, è la conferma della contrapposizione allart.49,
e della sua vanificazione nei programmi, stili di vita e
soprattutto nelle forme di costruzione di una coscienza comune,
gestita sempre più dai mezzi di comunicazione di massa. Che
monopoli privati dellinformazione siano stati favoriti nel
loro sorgere di fatto senza base legale per poi
trovare, a posteriori, ratifica nella legge
Mammì, dà conto della subalternità coscienziale
sia del Parlamento (anchesso riconosciuto, a posteriori,
intriso di ladri e corrotti), sia della Corte Costituzionale
immersa nel silenzio-assenso, che direziona
politicamente linerzia apparentemente neutrale del sempre
valido laissez passer.
Le nuove leggi elettorali, imposte
politicamente dal referendum [<=] del 18 aprile 1993,
hanno dato il definitivo colpo di piccone, anche sul piano
formale, alla Costituzione del 1948. Culmine
di un processo di crisi e degenerazione, il referendum
costituisce il punto formale di svolta, lapertura del
periodo di transizione in cui ormai ogni soluzione è aperta.
Insediatesi nel vecchio alveo dei partiti smantellati, solo
quando già erano autonomamente marciti, le nuove forze
dominanti appaiono incapaci di mutamento, nel presentarsi
dietro le insegne del nuovo. E le novità
già tutte realizzate negli Usa sin dagli anni 60
pongono a pilastro della loro realizzazione:
lignoranza dei fatti reali, la cristallizzazione dei
conflitti sociali, la socializzazione dellego
secondo limmagine forgiata dal sistema (restituito pure
come istinto collettivo); il divario tra desiderio e realtà (in
cui scelte e motivazioni al consumo, quale rattrappimento del
cittadino, non hanno nulla a che fare con i processi di
razionalizzazione); la scoperta e il ritorno ad un
privato eterodiretto, o tout court perdita del
privato nella vistosità del collettivo
(azienda Italia, clubs, volontariato, ecc.), sostituito in
tutte le forme di unesistenza biologica, o coscienzialmente
direzionata in una socializzazione come sola chiave
daccesso al Nuovo Ordine (si pensi alla
solidarietà, coercitivamente suggerita, senza
alternative concrete alla sua praticabilità, ad esclusione delle
forme culturalmente conquistate per la lotta di classe
[<=] o la difesa dei diritti); il linguaggio
[<=] accessibile/persuasivo per introdurre lideologia
del miracolo; ecc. La coscienza collettiva,
deformata e ristretta in coscienza comune, è così
ancorata alle fonde dellimmediatezza o
dellappetito, con lunico scopo delladattamento
allesistente. Spezzare siffatta tirannia è còmpito del
sapere, che appartiene alla ragione. Ma la
realizzazione del sapere è lappropriarsi della
ragione (Hegel).
[c.f.]
Corporativismo
Il corporativismo storico - È una
dottrina politica elaborata dai teorici dello stato fascista o
nazionalsocialista, e costituisce il fondamento ideologico di
quella parte del diritto [<=] pubblico che, in queste
forme totalitarie di stato, prevede una disciplina organica delle
forze produttive. Lideologia corporativa fascista e
nazionalsocialista assume le forze produttive come entità
omogenee sotto il profilo sociale e merceologico e in ordine al
supremo interesse della potenza nazionale. Il diritto corporativo
fascista o nazionalsocialista disciplina le forze produttive in
quanto corpora, corpi, corporazioni cui si attribuiscono
funzioni costituzionali di carattere normativo, consultivo,
conciliativo, e i cui millantati ascendenti sono i collegia
romani e le corporazioni medievali. La corporazione nazifascista
associa, per rimozione ideologica della realtà storica della lotta
fra le classi [<=], e per coazione giuridico-militare,
lavoratori e proprietari allinterno di ciascun settore
della produzione.
NellItalia fascista i sindacati
corporativi (che organizzano in linee verticali di continuità
padroni e lavoratori) dettano i contratti collettivi di lavoro
[<=], la Magistratura del lavoro previene o risolve i
conflitti di lavoro, il Consiglio nazionale delle corporazioni
ha funzioni consultive e normative in materia di politica e
diritto del lavoro. Il divieto di sciopero, sanzione giuridica
necessaria di una violenza effettiva contro unattività
sociale reale, è ideologicamente pareggiato dal divieto di
serrata, sanzione giuridica superflua di una contromisura
padronale resa non necessaria dalla diretta repressione statale
dello sciopero. Fine politico del corporativismo è la potenza
della nazione [<=], cioè la potenza dei proprietari e
funzionari del capitale e dei loro commessi politici. Nel diritto
pubblico corporativo: a) la funzione normativa
attribuita agli organi corporativi costituzionalmente rilevanti
fornisce una base giuridica al pieno e arbitrario comando dei
proprietari e funzionari del capitale sulla forza-lavoro
[<=]; b) la funzione consultiva è il risvolto
dello spionaggio sociale su scala allargata, avente come scopo la
prevenzione delle iniziative delle classi subalterne; c)
la funzione conciliativa attua una delle modalità di
repressione, sul nascere o in itinere, di ogni tentativo
collettivo o individuale di resistenza allarbitrio
padronale.
Il corporativismo secondo lattuale
sindacalismo confederale - In una prima fase che si
esaurisce intorno alla metà degli anni Ottanta e nella quale
il sindacalismo triconfederale esprime ancora in qualche misura,
sia pure decrescente, le rivendicazioni economiche dei lavoratori
gli apparati confederali e di categoria definiscono
corporative quelle lotte per il salario
[<=] che i lavoratori di determinate categorie, settori,
aziende conducono o tentano di condurre al di fuori del controllo
che gli apparati stessi esercitano su obbiettivi, tempi, forme
delle rivendicazioni.
Dalla metà degli anni Ottanta a oggi, il
sindacalismo triconfederale riconduce alla nozione di
corporativismo la lotta economica, tout court,
dei lavoratori (i quali possono condurla con qualche credibilità
e utilità di obbiettivi, tempi, forme solo a condizione
di mettersi al di fuori del controllo degli apparti confederali
e di categoria, dal momento che il sindacalismo triconfederale
non è stato nemmeno in grado di resistere alle piattaforme
rivendicative presentate dal padronato sulla scala
mobile e sugli altri aspetti del costo del
lavoro, né di liberare i lavoratori dai lacci e lacciuoli
che il padronato ha imposto alla contrattazione collettiva
nazionale e a quella integrativa ridotta la prima a
marginale copertura di un rito, la seconda a nulla). Questa
nozione triconfederale di corporativismo non ha
riscontro né nella storia politica né in quella della
letteratura teorica, e dunque fa violenza non solo e non tanto ai
lavoratori cosa non grave, dato che i lavoratori non sono
la principale preoccupazione dei soprastanti politici e sindacali
ma anche e sopratutto allepistème, altro nome della
scienza cara ai moderni o antifilosofi dolci e forti, ai
teorici delleconomia politica, ai loro apprendisti stregoni
e a tutti i tardivi parvenus dellimperante
scientismo dei contabili.
Il corporativismo secondo noi - Il
corporativismo è una forma di repressione del conflitto sociale
sul versante dei dominati. Il conflitto fra le classi
esclude il corporativismo, come il due esclude luno. Vice
versa: il corporativismo, forma di lotta dei dominanti contro
i dominati ridotti questi, coattivamente o suasivamente,
allinerzia esclude il conflitto fra le
classi, come luno esclude il due. Questa vicenda
rovesciata che è la lotta corporativa (e dunque unilaterale)
di una classe contro laltra, dei dominanti contro i
dominati, mira ad assicurare ai primi luso discrezionale
del lavoro dei secondi, del quale si vuole determinare, appunto
unilateralmente, il prezzo, la quantità, lorganizzazione.
Il corporativismo storico (fascista e nazista) raggiunge questi
risultati attraverso la forza armata dei corpi militari e
paramilitari dello stato e della classe dominante, sotto la
copertura del diritto corporativo che a sua volta ha trovato
nella violenza di quei corpi la sua fonte storica. Il
corporativismo contemporaneo, o neocorporativismo
[<=], persegue gli stessi scopi del corporativismo storico, ma
se ne differenzia sotto il triplice profilo della giustificazione
ideologica, delle forme di repressione,
dellorganizzazione del lavoro.
Ideologia. Al punto di vista della
potenza della nazione subentra il punto di vista
delleconomia nazionale; allideologia del mercato
[<=] nazionale subentra lo scientismo del modo
capitalistico di produzione in epoca di formazione del mercato
mondiale.
Repressione. Alla forza militare
subentra limposizione politica, istituzionale, burocratica
di un concerto preventivo sulla politica economica fra
proprietari e centrali sindacali, con la mediazione del governo.
Il dissenso e la resistenza dei dominati sono impediti o
ostacolati per tre vie: burocrazia sindacale e isolamento dei
lavoratori allinterno di settori, aziende, reparti;
monopolio istituzionale delle libertà sindacali e del diritto
di sciopero; inibizione di fatto dellesercizio di questo
diritto anche attraverso la sua limitazione legislativa.
Organizzazione del lavoro. Il tipo di
organizzazione del lavoro in regime neocorporativo tende a
sostituire alla solidarietà di classe lappartenenza
di corpo, dove il corpo è lindividuo, la squadra,
limpresa (concentriche matrjoske a loro volta
contenute in altre di dimensioni via via crescenti: il settore,
leconomia nazionale, il mercato mondiale, il modo
capitalistico di produzione come categoria dello spirito). Tra i
fattori che, dal punto di vista dellorganizzazione del
lavoro, concorrono a costituire lappartenenza di corpo, tre
sono più importanti degli altri:
- la nuova professionalità [<=] di
massa rapidamente differenziabile mediante addestramento, donde
la sostituzione del residuale principio di competenza con il
prevalente principio di vigilanza nella formazione delle carriere
e della gerarchia aziendale;
- la tendenza a estendere la parte variabile
della retribuzione a danno di quella fissa e in dipendenza da
indici di redditività, e insomma a trasformare la retribuzione
oraria in retribuzione a cottimo [<=], e il cottimo
individuale in un cottimismo collettivo che stimola nei
lavoratori la concorrenza e il controllo reciproci;
- la sottomissione diretta anche del lavoro
mentale (in aggiunta a quello muscolare) al ciclo
produttivo, grazie soprattutto allintroduzione dei sistemi
elettronici e informatici che fra laltro, accrescendo
lisolamento tra le mansioni divise, accentuano vocazioni
di responsabilità e di promozione individuali.
Nel corporativismo storico il lavoro fa
corpo col capitale per forza senza amore. Nel
neocorporativismo il lavoro fa corpo col capitale per
amore e per forza: lamore del diritto e della politica
tende a diventare forza della burocrazia e poi forza della
provocazione e della strategia della tensione a mano
a mano che il costo sociale delle politiche neocorporative supera
la soglia della tollerabilità e del consenso popolari. Di qui
si può regredire al corporativismo fascista.
[gf.c.]
Cottimo
Alla superficie della società borghese il
compenso delloperaio appare quale prezzo del
lavoro: una determinata quantità di denaro che viene pagata
per una determinata quantità di lavoro. In realtà, sul mercato
delle merci si presenta direttamente al possessore del denaro
non il lavoro ma il lavoratore. Ciò che vende
questultimo è la propria forza-lavoro [<=].
Il lavoro stesso non ha valore. Nellespressione
valore del lavoro il concetto di valore non solo è
del tutto obliterato, ma è rovesciato nel suo opposto. Tuttavia
queste espressioni immaginarie derivano dagli stessi rapporti
di produzione. Sono categorie di forme fenomeniche di rapporti
sostanziali. Leconomia politica ha mutuato dalla vita di
tutti i giorni, senza sottoporla a nessuna critica, la categoria
prezzo del lavoro. E prezzo del lavoro è
parimenti irrazionale come un logaritmo giallo. Ma
soltanto ora leconomista volgare è completamente
soddisfatto, poiché egli è pervenuto alla profonda intuizione
del borghese, il quale è convinto di pagare denaro in cambio
del lavoro. Quindi quel che egli chiama valore (e prezzo) del
lavoro è in realtà il valore (e prezzo) della
forza-lavoro, la quale esiste nella personalità del
lavoratore ed è differente dalla sua funzione, il lavoro.
Si comprende quindi limportanza decisiva che ha la metamorfosi
del valore e del prezzo della forza-lavoro nella forma di salario
[<=], ossia in valore e prezzo del lavoro stesso. Su
questa forma fenomenica che rende invisibile il rapporto
reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano tutte le
idee giuridiche delloperaio e del capitalista, tutte le
mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le
sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche
delleconomia volgare.
Il salario assume a sua volta forme
svariatissime, circostanza che non si può conoscere nei
compendi di economia, i quali, brutalmente interessati alla
materia, trascurano ogni differenza di forma. La vendita della
forza-lavoro ha luogo sempre per periodi determinati di tempo.
La forma mutata in cui si presentano immediatamente il
valore giornaliero, il valore settimanale, ecc., della
forza-lavoro è quindi la forma del salario a tempo. Il salario
a cottimo non è altro che una forma mutata del salario a
tempo. A prima vista pare nel salario a cottimo che il valore
duso venduto dalloperaio non sia il funzionamento
della sua forza-lavoro, il lavoro vivente, ma lavoro già
oggettivato nel prodotto, e che il prezzo di questo lavoro
non sia determinato come nel salario a tempo, ma dalla capacità
di rendimento del produttore. Ma è chiaro in sé e per sé
che la differenza nella forma del pagamento del salario
non muta nulla alla sua natura, benché una forma possa essere
più favorevole di unaltra allo sviluppo della produzione
capitalistica. Il salario a cottimo è la forma di
salario che più corrisponde al modo di produzione
capitalistico. Esso serve di leva per il prolungamento del tempo
di lavoro e per la riduzione del salario. Nelle fabbriche il
salario a cottimo diventa regola generale perché in esse il
capitale non può estendere la giornata lavorativa [<=]
altro che aumentando lintensità del lavoro. La forma del
salario a cottimo è irrazionale come quella del salario a
tempo. In realtà il salario a cottimo non esprime immediatamente
alcun rapporto di valore. Non si tratta di misurare il
valore dellarticolo mediante il tempo di lavoro in esso
incorporato, ma, viceversa, di misurare il lavoro speso
dalloperaio mediante il numero dei pezzi da lui prodotti.
Il salario a cottimo offre al
capitalista una misura ben definita dellintensità del
lavoro. Soltanto il tempo di lavoro che si incorpora in una
quantità di merce determinata in precedenza, e stabilita
secondo esperienza, è considerato tempo di lavoro socialmente
necessario e viene pagato come tale. Dato il salario a
cottimo è naturalmente interesse personale del lavoratore
impegnare la propria forza-lavoro con la maggiore intensità
possibile, il che facilita al capitalista un aumento del grado
normale dellintensità. Ed è allo stesso modo
nellinteresse personale del lavpratore prolungare la
giornata lavorativa, perché così cresce il suo salario
giornaliero o settimanale. Nel salario a cottimo il prezzo del
tempo di lavoro è bensì misurato mediante una determinata
quantità di prodotti, ma il salario giornaliero o settimanale
varia con la differenza individuale dei lavoratori. Qui si
verificano dunque grandi differenze nelle entrate reali dei
lavoratori a seconda della diversa abilità, forza, energia,
perseveranza, ecc., dei lavoratori individuali. Il maggior
campo dazione che il salario a cottimo offre
allindividualità tende, da un lato, a sviluppare
lindividualità e con ciò il sentimento della libertà,
lautonomia e lautocontrollo dei lavoratori,
dallaltro, a sviluppare la concorrenza fra di loro,
degli uni contro gli altri. Esso ha perciò la tendenza ad
abbassare il livello medio dei salari mediante laumento dei
salari individuali al di sopra del livello stesso.
La qualità del lavoro è qui
controllata dallopera stessa, la quale deve possedere
bontà media, se il prezzo a cottimo devessere pagato in
pieno. Il salario a cottimo diventa da questo lato fonte
fecondissima di detrazioni sul salario e di truffe
capitalistiche. Siccome qui la qualità e lintensità del
lavoro sono controllati dalla forma dello stesso salario, si
rende superflua buona parte della sorveglianza del lavoro.
Questa forma costituisce quindi la base tanto del moderno
lavoro a domicilio quanto di un sistema di sfruttamento e di
oppressione gerarchicamente articolato. Questultimo ha
due forme fondamentali. Da una parte, il salario a cottimo
facilita linserimento di parassiti fra capitalista
e lavoratore salariato, cioè il subaffitto del lavoro
[lavoro interinale o in leasing]. Il guadagno degli
intermediari deriva esclusivamente dalla differenza fra il
prezzo del lavoro pagato dal capitalista e quella parte di
questo prezzo che essi lasciano realmente pervenire al lavoratore
[lavoro in affitto, sistema del caporalato].
Dallaltra parte, il salario a cottimo permette al
capitalista di concludere con il capo-operaio un contratto per
tanti e tanti articoli a un prezzo, per il quale il capo-operaio
stesso si assume larruolamento e il pagamento dei suoi
operai ausiliari. Lo sfruttamento dei lavoratpri da parte del
capitale si attua qui mediante lo sfruttamento del lavoratore
da parte del lavoratore. Se il lavoratore non possiede la
capacità media di rendimento, se quindi non è in grado di
fornire un determinato minimo di opera giornaliera, lo si
licenzia.
[k.m.]
Cottimo corporativo
Alla superficie della società corporativa
il compenso dei lavoratori appare come partecipazione
[<=] di costoro ai profitti, ai risultati dellimpresa e
alleconomia nel suo complesso. Lunico
senso in cui i lavoratori partecipano ai risultati
dellimpresa è che essi sono sicuri solo di una parte
minore del salario diretto [<=] in busta paga, e che
per ottenere il salario pieno devono sostenere lo sforzo
produttivo massimo: altrimenti laltra parte, quella
maggiore e oscillante, si contrae. Qui sta limbroglio della
partecipazione agli utili o peggio ai
profitti. Molti studiosi (sullesempio
giapponese) riconoscono che linteresse a non metter in
difficoltà limpresa è soltanto dovuto allalta
flessibilità salariale e lavorativa cui sono
sottomessi i lavoratori. Più che di partecipazione, si tratta di
una economia del ricatto. Lintera classe [<=]
lavoratrice deve sottostare a una forma istituzionalizzata
di ciò che si può appunto definire cottimo corporativo.
La parvenza del coinvolgimento dei lavoratori si mostra nel
conferire ai lavoratori mansioni in cui appaia
lespressione della loro creatività nel controllo
del processo di lavoro e della qualità di prodotti
e macchinari. Ma tale parvenza è subito smentita.
Lorganizzazione e lorario di lavoro sono già
pianificati con una normale misurazione tempi e metodi.
Solo i tempi e i carichi di lavoro effettivi non sono
predeterminati, ma affidati al gruppo. Si noti bene che proprio
su codeste basi si determinano poi le forti differenze di salario
individuale.
Questa caratteristica, perciò, non implica
affatto una reale delega delle decisioni strategiche. Ciò è
anzi predisposto in vista di dare grande elasticità ed
efficienza allesecuzione dei compiti di produzione. Gli
studiosi del fenomeno avvertono, infatti, che ciò non ha
niente a che vedere con il concetto occidentale di democrazia
[<=]: al contrario, la gerarchia e il rispetto dei ruoli sono
ancora più rigidi, come in un esercito o in un ordine religioso.
Ecco perché non si può parlare di consenso, se non in forma intrinsecamente
coercitiva. Questa è la forma storica del neo-corporativismo
[<=] di cui il sindacalismo giallo è massimamente
responsabile nella sua subalternità. E queste sono le ragioni
per cui Taiichi Ohno ha potuto sostenere che il successo
sta nel pieno controllo dellimpresa sul sindacato.
Il processo di produzione così riorganizzato si avvale
completamente dei vantaggi di maggiore efficienza arrecati dal
lavoro di gruppo. Si tratta appunto di ciò che Marx indicava
come appropriazione gratuita dei risultati del lavoro
combinato, collettivo, da parte del capitale. Nelle
condizioni già raggiunte dallesperienza giapponese si è
riusciti ad attuare questa determinazione economica al massimo
grado, grazie alla flessibilità [<=] del
processo dovuta innanzitutto alla flessibilità
della forza-lavoro, che ha reso possibile al capitale di
avvalersi della flessibilità delle macchine [nella figura
di multifunzionalità di lavoro e macchine].
La coesione del gruppo di lavoro, lungi
dallesser determinata dallunità di classe, è
sostenuta unicamente dalla concorrenza tra i lavoratori stessi,
costretti a ciò dai caratteri oggettivi della
multifunzionalità e della flessibilità della forza-lavoro
(caratteri, si è detto, da cui soltanto può derivare la
corrispondente flessibilità del salario). Ciò implica solo
una maggiore quantità di lavoro estorta alla classe dei
conduttori del processo di lavoro, costretta a
flettersi per non spezzarsi. Come esclamò un dirigente Kawasaki:
gli abbiamo messo proprio il fuoco al culo!. Quel
simulacro di partecipazione, che i sindacati
triangolari gialli di casa nostra non osano chiamare col vero
nome di cottimo corporativo, viene da essi invocato, in
barba alla rigidità del lavoro, per labbattimento
di ogni rigidità per il sistema delle imprese per
dar loro certezze nella determinazione della crescita dei
costi: per concludere, confederalmente e
concertativamente, che oggi siamo qui a parlare in maniera
non antagonistica, grazie allimpegno del sindacato, che non
può caratterizzarsi né come opposizione né come forza di
governo, alla ricerca di un sistema di relazioni sindacali, con
uno scambio equo e leale di certezze nei reciproci
comportamenti; oggi è possibile una convergenza tra
linteresse dei lavoratori e gli obiettivi
dellimpresa.
Luniversalizzazione della forma di cottimo
non importa quale sia il nome: partecipazione,
qualità totale, professionalità, produttività, e via
post-modernamente mistificando sotto la sua ampliata forma
corporativa rinnova leterna fonte fecondissima
di detrazioni sul salario e di truffe capitalistiche e il
suo stesso occultamento. Non solo il capitalista può far credere
che paghi direttamente la capacità di rendimento
del lavoratore [Marx si esprimeva così, laddove i triangolari
parlano di salario di produttività], ma così può
proliferare quel sistema di sfruttamento e di oppressione
gerarchicamente articolato che consiste nel richiedere e ottenere
la produzione del numero di pezzi strettamente necessario, nel
facilitare linserimento di attività di sub-fornitura e
sub-appalto, e nel ricreare la base del moderno lavoro a
domicilio. E non basta, giacché col cottimo corporativo
la partecipazione dei lavoratori è spinta fino
alleconomia nazionale, subordinando il loro
compenso e il loro reddito alle sorti dei conti economici
pubblici, erosi e bucati da ogni altra parte. Il paralogismo
mistificatorio ha così la sua epitome nellimbroglio del
sistema-paese (di cui il farsi carico
delle sorti dellAzienda-Italia è esemplare). Solo dopo un
paio di secoli, dunque, la borghesia capitalistica col
sincero concorso sindacal-corporativo è riuscita a
inverare praticamente, sul mercato mondiale, la propria felice
profonda e falsa intuizione di pagare denaro in cambio di
lavoro. Il logaritmo giallo metafora del
prezzo-del-lavoro, ancorché irrazionale, è divenuto realtà
operante. Il reale è irrazionale.
[gf.p.]
Credito # 1
(origini storiche)
La merce che funziona come misura del
valore e quindi anche come mezzo di circolazione,
è denaro.
a) [Questo] perpetuum mobile
della circolazione viene immobilizzato, da moneta diventa denaro,
appena la serie delle metamorfosi viene interrotta, e la
vendita non è integrata da una compera
successiva. Il denaro si pietrifica in tesoro e il
venditore di merci diventa tesaurizzatore.
b) Il denaro funziona come mezzo
ideale di compera. La figura di valore della merce, il
denaro, diventa ora fine a sé stesso della vendita, per
una necessità sociale che sgorga dalle condizioni stesse del
processo di produzione.
La moneta di credito proviene
immediatamente dalla funzione del denaro come mezzo di pagamento;
con lestendersi del credito si estende la funzione del
denaro come mezzo di pagamento. Come tale, esso riceve forme
proprie di esistenza, con le quali
inabita nella sfera delle grandi
transazioni commerciali.
Solo sul mercato mondiale il denaro funziona
in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso
tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro
umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato
al suo concetto.
La natura non produce da una parte possessori
di denaro o di merci e dallaltra puri e semplici possessori
della forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risultante
dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale
che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è
evidentemente il risultato duno svolgimento storico
precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici, del
tramonto di tutta una serie di formazioni più antiche della
produzione sociale. Le condizioni storiche
desistenza per il capitale non sono affatto date di per sé
stesse con la circolazione delle merci e del denaro. Esso nasce
soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di
sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come
venditore della sua forza-lavoro e questa sola condizione
storica comprende tutta una storia universale. Quindi il capitale
annuncia fin da principio unepoca del
processo sociale di produzione.
Con la produzione capitalistica si forma una
potenza assolutamente nuova, il sistema del credito, che
ai suoi inizi sinsinua furtivamente come modesto ausilio
dellaccumulazione, attira mediante fili invisibili i mezzi
pecuniari, disseminati in masse maggiori o minori alla superficie
della società, nelle mani di capitalisti individuali o
associati, diventando però ben presto unarma nuova e
terribile nella lotta della concorrenza e trasformandosi infine
in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei
capitali. Nella misura in cui si sviluppano la produzione e
laccumulazione capitalistica, si sviluppano la concorrenza
e il credito, le due leve più potenti della centralizzazione.
Il sistema del credito pubblico, cioè dei
debiti dello Stato, le cui origini si possono scoprire fin dal
Medioevo a Genova e a Venezia, simpossessò di tutta
lEuropa durante il periodo della manifattura, e il sistema
coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali
gli servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il
debito pubblico, ossia lalienazione dello Stato
dispotico, costituzionale o repubblicano che sia imprime
il suo marchio allera capitalistica. Lunica parte
della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in
possesso collettivo dei popoli moderni è ... il loro debito
pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna
che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo
sindebita. il credito pubblico diventa il credo del
capitale.
Il debito pubblico diventa una delle leve
più energiche dellaccumulazione originaria: come con un
colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è
improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in
capitale, senza che il denaro abbia avuto bisogno di
assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili
dallinvestimento industriale e anche da quello usurario. In
realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la
somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente
trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio
come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche astrazion
fatta dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene
così creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che
fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione
anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei
commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte
di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale
piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le
società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni
specie, laggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il
giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna.
Fin dalla nascita le grandi banche agghindate
di denominazioni nazionali non sono state che società di
speculatori privati che si affiancavano ai governi e, grazie ai
privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro.
Quindi laccumularsi del debito pubblico non ha misura più
infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche,
il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca
dInghilterra (1694). Con i debiti pubblici è sorto un
sistema di credito internazionale che spesso nasconde una delle
fonti dellaccumulazione originaria di questo o quel
popolo. Parecchi capitali che oggi si presentano negli Stati
Uniti senza fede di nascita sono sangue di bambini che solo ieri
è stato capitalizzato in Inghilterra.
Il credito è una forma di circolazione
creata direttamente dal capitale che scaturisce in maniera
specifica dalla natura del capitale. Indicare la differentia
specifica costituisce sia uno sviluppo logico che una chiave
per la comprensione di quello storico. Noi troviamo anche
storicamente, in Inghilterra per esempio, (ed anche in Francia),
[tentativi] di sostituire il denaro con titoli, daltra
parte di conferire al capitale, finché esiste nella forma del valore,
una forma creata puramente da esso stesso, e infine tentativi di
fondazione del credito nel momento stesso della comparsa del
capitale. Il banchiere ... differisce dal vecchio usuraio...
per il fatto che egli presta al ricco e raramente o mai al
povero. Quindi nel prestare egli rischia di meno, e può
permettersi di farlo alle condizioni più vantaggiose; e, per
entrambi i motivi, egli evita lodio popolare che colpisce
lusuraio [F.W. Newmann, Lectures on Political
Economy, London 1851].
La forma del tesoro è soltanto la forma di
denaro che non si trova in circolazione, di denaro la cui
circolazione è interrotta e che perciò viene conservato nella
sua forma di denaro. Quanto allo stesso processo di
tesaurizzazione, esso è comune a tutta la produzione di merci, e
come fine a sé stesso ha una sua parte soltanto nelle forme
precapitalistiche non sviluppate di essa. Ma qui il tesoro appare
come forma del capitale monetario e la tesaurizzazione come un
processo che accompagna temporaneamente laccumulazione del
capitale, perché e in quanto il denaro figura qui come capitale
monetario latente; perché la tesaurizzazione, lo stato di
tesoro del plusvalore che è presente in forma di denaro, è uno
stadio preparatorio procedente al di fuori del ciclo del
capitale, funzionalmente determinato, per la trasformazione del
plusvalore in capitale realmente operante.
Ma finché permane in stato di tesoro, esso
non opera ancora come capitale monetario, è ancora capitale
monetario che giace ozioso; non come prima, interrotto nella sua
funzione, bensì non ancora idoneo alla sua funzione. Noi
prendiamo qui laccumulazione monetaria nella sua forma
originaria reale, come effettivo tesoro in denaro. Essa può
esistere anche nella forma di semplice avere, di crediti del
capitalista che ha venduto M [capitale-merce].
Quanto alle altre forme, nelle quali questo capitale monetario
latente nel frattempo esiste anche in figura di denaro che genera
denaro, ad esempio come deposito fruttifero in una banca, in
cambiali o in carte-valori di qualsiasi specie, esse non
rientrano qui. Nella prima epoca della produzione capitalistica
la moneta di credito ha una parte nulla o insignificante: questo
è il corso della storia.
Sono state contrapposte luna
allaltra economia naturale, economia monetaria ed economia
creditizia, come le tre caratteristiche forme economiche di
movimento della produzione sociale. Queste tre forme non
rappresentano fasi di sviluppo equivalenti. La cosiddetta
economia creditizia non è altro che una forma delleconomia
monetaria, in quanto ambedue le definizioni esprimono funzioni o
modi di circolazione tra i produttori stessi. Nella produzione
capitalistica sviluppata, leconomia monetaria appare ormai
soltanto come fondamento delleconomia creditizia.
Economia monetaria e economia creditizia
corrispondono così soltanto a differenti gradi di sviluppo della
produzione capitalistica, ma non sono per nulla forme differenti
e autonome di circolazione, di fronte alleconomia naturale.
Appartiene al credito il fatto che il capitalista, ad es.,
depositi in conto corrente fruttifero, presso una banca, il
denaro che via via si accumula.
Per mezzo del fondo di ammortamento, nel
quale secondo la misura del logorìo del capitale fisso il valore
di questo rifluisce al suo punto di partenza, una parte del
denaro circolante forma di nuovo tesoro per un tempo più
o meno lungo nelle mani dello stesso capitalista, il cui
tesoro allacquisto del capitale fisso si era trasformato in
mezzo di circolazione e allontanato da lui. È una ripartizione,
che varia costantemente, del tesoro esistente nella società, il
quale opera alternativamente come mezzo di circolazione e poi di
nuovo viene separato come tesoro dalla massa del denaro
circolante.
Con lo sviluppo del credito, che procede di necessità parallelamente allo sviluppo della grande industria e della produzione capitalistica, questo denaro non opera come tesoro ma come capitale, ma non nelle mani del suo proprietario bensì in quelle di altri capitalisti a disposizione dei quali è posto. Il sistema creditizio, come il capitale commerciale, modifica la rotazione (ciclo riproduttivo del capitale, non come fatto isolato ma come processo periodico) per il singolo capitalista. Su scala sociale, la modifica solo in quanto accelera non soltanto la produzione ma anche il consumo. In quanto il credito media, accelera e aumenta la concentrazione del capitale in una sola mano, esso contribuisce ad abbreviare il periodo di lavoro e quindi il tempo di rotazione.
[k.m.]
(da Il capitale, I, II; Lineamenti,
II)
Credito # 2
(ricchezza sociale)
In che cosa si distinguono loro e
largento dalle altre forme di ricchezza? Non per la
grandezza del valore, tale grandezza essendo determinata dalla
quantità di lavoro che vi si trova oggettivato. Ma come
incarnazioni autonome, espressioni del carattere sociale
della ricchezza. [La ricchezza della società esiste soltanto
come ricchezza dei singoli, che ne sono i proprietari privati.
Essa si presenta come sociale solo per il fatto che questi
singoli individui, al fine di soddisfare i loro bisogni, si
scambiano fra di loro valori duso qualitativamente diversi.
Nella produzione capitalistica essi possono farlo soltanto per
mezzo del denaro. Così, soltanto per mezzo del denaro la
ricchezza del singolo viene realizzata come ricchezza sociale; in
questa cosa che è il denaro, è materializzata la natura sociale
di questa ricchezza. f.e.].
Questa sua essenza sociale appare come
qualcosa al di fuori, come cosa, oggetto, merce, accanto e al di
fuori degli elementi effettivi della ricchezza sociale. Fino a
che la produzione è in movimento, questo aspetto viene
dimenticato. Il credito, anchesso forma sociale della
ricchezza, soppianta il denaro e ne usurpa il posto. È la
fiducia nel carattere sociale della produzione, che fa apparire
la forma monetaria dei prodotti esclusivamente come qualcosa di
passeggero e ideale, come semplice rappresentazione. Ma, non
appena il credito viene scosso e questa fase si presenta
immancabilmente nel ciclo dellindustria moderna
qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e
improvvisamente in denaro, in oro e in argento, una pretesa
assurda che deriva però necessariamente dal sistema stesso.
La crescente concentrazione [di capitale]
provoca, non appena abbia raggiunto un certo livello, una
diminuzione del saggio di profitto [saggio di plusvalore
calcolato in rapporto al capitale complessivo, costante e
variabile]. La massa dei piccoli capitali frantumati viene
così trascinata sulla via delle avventure; speculazione imbrogli
creditizi ed azionari, crisi.
Quando si parla di pletora di capitale ci si
riferisce sempre o quasi sempre, in sostanza, alla pletora di
capitale per il quale la caduta del saggio di profitto non è
compensata dalla sua massa e questo avviene sempre nel
caso di nuovi capitali di formazione derivata od alla
pletora che questi capitali, incapaci di operare per proprio
conto, mettono, sotto forma di credito, a disposizione dei
dirigenti delle grandi imprese. Questa pletora di capitale è
determinata dalle medesime circostanze che provocano una
sovrappopolazione relativa e ne costituisce quindi una
manifestazione complementare, quantunque i due fenomeni si
trovino ai poli opposti, capitale inutilizzato da una parte e
popolazione operaia inutilizzata dallaltra. Si sono
venuti creando estesi crediti fittizi in conseguenza delle
cambiali di comodo e del credito in bianco, fenomeno questo che
è stato molto facilitato dal comportamento delle banche per
azioni di provincia, che scontavano tali cambiali e poi le
lasciavano riscontare dai bill brokers sul mercato
londinese; in tale transazione, ciò che contava era unicamente
il cre-dito della banca, mentre la qualità della cambiale veniva
completamente trascurata [Bank committee, 1858].
Il depositante rurale crede di affidare i
suoi depositi semplicemente al suo banchiere e pensa
inoltre che il banchiere, se concede
dei prestiti, lo faccia soltanto
a privati di sua conoscenza. Egli
non immagina neppure lontanamente che il banchiere pone il suo
deposito a disposizione di un bill broker londinese, sulle
cui operazioni né lui né il depositante possono esercitare
alcun controllo.
Funzione del credito nella produzione
capitalistica
I. Formazione necessaria del credito
come mezzo per attuare il livellamento del saggio di profitto,
oppure il movimento di questo livellamento, su cui si fonda
lintera produzione capitalistica.
II. Riduzione dei costi di
circolazione.
1. Uno dei principali costi di
circolazione è rappresentato dal denaro stesso, come valore in
sé: Esso viene economizzato, mediante il credito, in triplice
maniera. A. viene completamente reso superfluo in una gran
parte delle transazioni. B. Perché si accelera la
circolazione del medio circolante. C. Sostituzione della
moneta aurea con la carta.
2. Il credito accelera le diverse fasi
della circolazione o della metamorfosi delle merci, ossia della
metamorfosi del capitale e quindi accelera il processo della
riproduzione in generale.
III. Formazione di società per
azioni. Donde:
1. Ampliamento enorme della scala
della produzione... [trasformazione delle] imprese governative
[in] sociali.
2. Il capitale... acquista qui
direttamente la forma di capitale sociale (capitale di individui
direttamente associati) contrapposto al capitale privato. È la
soppressione del capitale come proprietà privata
nellambito del modo di produzione stesso.
3. Trasformazione del capitalista
realmente operante in semplice dirigente, amministratore di
capitale altrui e dei proprietari di capitale in puri e semplici
proprietari, puri e semplici capitalisti monetari.
Il credito permette al singolo capitalista di
disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e della
proprietà altrui, e per conseguenza del lavoro altrui. La
possibilità di disporre del capitale sociale che non gli
appartiene gli permette di disporre del lavoro sociale. Se il
credito appare come la leva principale della sovrapproduzione e
della sovraspeculazione nel commercio, ciò avviene soltanto
perché il processo di produzione, che per sua natura è
elastico, viene qui spinto al suo estremo limite, e vi viene
spinto proprio perché una gran parte del capitale sociale viene
impiegato da quelli che non ne sono proprietari, i quali, quando
operano personalmente, hanno paura di superare i limiti del
proprio canale privato. Da ciò risulta chiaro soltanto che la
valorizzazione del capitale, fondata sul carattere antagonistico
della produzione capitalistica, permette leffettivo libero
sviluppo soltanto fino a un certo punto, quindi costituisce di
fatto una catena e un limite immanente della produzione, che
viene costantemente spezzato dal sistema creditizio. Il sistema
creditizio affretta dunque lo sviluppo materiale delle forze
produttive e la formazione del mercato mondiale, che il sistema
capitalistico di produzione ha il compito storico di costituire,
fino a un certo grado, come fondamento materiale della nuova
forma di produzione. Il credito affretta al tempo stesso le
eruzioni violente di questa contraddizione, ossia le crisi e
quindi gli elementi di disfacimento del vecchio sistema di
produzione.
Ecco i due caratteri immanenti al credito: da
un lato esso sviluppa la molla della produzione capitalistica,
cioè larricchimento mediante lo sfruttamento del lavoro
altrui, fino a farla diventare il più colossale sistema di
giuoco e dimbroglio, limitando sempre più il numero di
quei pochi che sfruttano la ricchezza sociale; dallaltro
lato esso costituisce la forma di transizione verso un nuovo
sistema di produzione. È questo duplice carattere che fa di
ognuno dei principali araldi del credito, da Law fino a Isaac
Pereire, uno strano miscuglio tra il ciarlatano e il profeta.
Il sistema creditizio che ha come centro le
pretese banche nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli
usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un
accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una
forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i
capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più
pericoloso nella produzione effettiva e questa banda non
sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa.
Chiunque ancora mettesse in dubbio che questi rispettabili banditi sfruttano la produzione nazionale e internazionale soltanto nellinteresse della produzione e degli sfruttati stessi, costui sarà certamente un po meglio istruito dal seguente sermone sullalta dignità morale del banchiere: Gli istituti bancari sono istituzioni religiose e morali. Quante volte la paura di essere visti dallocchio attento e ammonitore del suo banchiere non ha distolto il giovane commerciante dalla compagnia di amici agitati e dissoluti? Quanto si preoccupa di godere buona reputazione presso il banchiere, di apparirgli sempre ineccepibile? Un aggrottamento di ciglia del banchiere ha su di lui un effetto maggiore delle prediche morali dei suoi amici; non trema egli al pensiero di poter essere sospettato colpevole di un inganno o della più piccola affermazione inesatta, per timore che ciò possa provocare diffidenza e quindi una restrizione o una sospensione del suo credito bancario? Il consiglio del banchiere è per lui più importante di quello del sacerdote [G.M. Bell, direttore di banca scozzese: The philosophy of joint stock banking, Londra 1840].
[k.m.]
(da Il capitale, III, 1, 2)
Crisi
(sovraproduzione)
Le tre caratteristiche fondamentali della
produzione capitalistica sono:
1. La concentrazione in poche mani dei
mezzi di produzione, che cessano perciò di apparire come
proprietà dei lavoratori diretti e si trasformano in potenze
sociali della produzione, anche se in un primo tempo nella forma
di proprietà privata.
2. Lorganizzazione sociale del
lavoro mediante la cooperazione, la divisione del lavoro e
lunione del lavoro con le scienze naturali. In seguito alla
concentrazione dei mezzi di produzione ed alla organizzazione
sociale del lavoro, il modo capitalistico di produzione
sopprime, sia pure in forme contrastanti, e la proprietà
individuale e il lavoro privato.
3. La creazione del mercato mondiale.
Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio,
alla navigazione, alle comunicazioni per terra. Questo sviluppo
ha reagito a sua volta sullespansione dellindustria,
e, nella stessa misura in cui si estendevano industria,
commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia,
ha accresciuto i suoi capitali.
La borghesia non può esistere senza
rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i
rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Il
continuo rivoluzionamento della produzione, lininterrotto
scuotimento di tutte le situazioni sociali, lincertezza e
il movimento eterni contraddistinguono lepoca dei borghesi
fra tutte le epoche precedenti. Il bisogno di uno smercio sempre
più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a
percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi,
dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare
relazioni. Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia
ha dato unimpronta cosmopolita alla produzione e al consumo
di tutti i paesi. Allantica autosufficienza e
allantico isolamento locali e nazionali subentra uno
scambio universale, uninterdipendenza universale fra le nazioni
[<=]. Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di
produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia
trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare.
I bassi prezzi delle sue merci [<=] sono
lartiglieria pesante con la quale essa spiana tutte le
muraglie cinesi. Costringe tutte le nazioni ad adottare il
sistema di produzione della borghesia, se non vogliono
andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la
cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una
parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.
La borghesia elimina sempre più la
dispersione dei mezzi di produzione, della proprietà
[<=] e della popolazione [<=]. Ha agglomerato la
popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha
concentrato in poche mani la proprietà. Durante il suo dominio
di classe [<=] appena secolare la borghesia ha
creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali
che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del
passato. Quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo
del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive? I
rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi
di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per
incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti,
rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze
degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia
dellindustria e del commercio è soltanto storia della
rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni
della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che
costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e
del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che col
loro periodico ritorno mettono in forse sempre più
minacciosamente lesistenza di tutta la società borghese.
Nelle crisi commerciali viene regolarmente
distrutta non solo una gran parte dei prodotti ottenuti, ma
addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi
scoppia unepidemia sociale che in tutte le epoche anteriori
sarebbe apparsa un assurdo: lepidemia della sovraproduzione.
La società si trova allimprovviso ricondotta a uno stato
di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra
generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di
sussistenza; lindustria, il commercio sembrano distrutti. E
perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi
mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo
commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non
servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti
borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti
per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano
questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese,
mettono in pericolo lesistenza della proprietà borghese. I
rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter
contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo
la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la
distruzione coatta di una massa di forze produttive;
dallaltro, con la conquista di nuovi mercati e con lo
sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi?
Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e
la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.
La contraddizione, esposta in termini
generali, consiste in questo: la produzione capitalistica
racchiude una tendenza verso lo sviluppo assoluto delle forze
produttive, indipendentemente dal valore e dal plusvalore in esso
contenuto, indipendentemente anche dalle condizioni sociali nelle
quali essa funziona; ma nello stesso tempo tale produzione ha
come scopo la conservazione del valore-capitale esistente e la
sua massima valorizzazione (vale a dire laccrescimento
accelerato di questo valore). Per la sua intrinseca natura essa
tende a considerare il valore-capitale esistente come mezzo per
la massima valorizzazione possibile di questo valore. Fra i
metodi di cui si serve per ottenere questo scopo sono inclusi: la
diminuzione del tasso del profitto, il deprezzamento
del capitale esistente, lo sviluppo delle forze produttive
del lavoro a spese delle forze produttive già prodotte.
Laccumulazione di capitale, per
quanto riguarda il valore, è rallentata dalla diminuzione del
tasso del profitto al fine di accelerare ancora
laccumulazione del valore duso, mentre questa a sua
volta accelera laccumulazione, per quanto riguarda il
valore. Il periodico deprezzamento del capitale esistente,
che è un mezzo immanente del modo capitalistico di produzione
per arrestare la diminuzione del profitto ed accelerare
laccumulazione del valore-capitale mediante la formazione
di nuovo capitale, turba le condizioni date in cui si compie il
processo di circolazione [<=] e di riproduzione del
capitale, e provoca di conseguenza degli arresti improvvisi e
delle crisi del processo di produzione. Lenorme forza
produttiva in relazione alla popolazione, quale si sviluppa
in seno al modo capitalistico di produzione e, quantunque non
nella stessa misura, laumento dei valori-capitali (non solo
dei loro elementi materiali) che si accrescono molto più
rapidamente della popolazione, si trovano in contrasto e con la
base per cui lavora questa enorme forza produttiva, che
relativamente allaccrescimento della ricchezza diventa
sempre più angusta, e con le condizioni di valorizzazione di
questo capitale crescente. Da questo contrasto hanno origine le crisi.
Lazione di queste influenze contraddittorie si manifesta
tanto simultaneamente nello spazio, quanto successivamente nel
tempo; periodicamente il conflitto fra le forze contrastanti
erompe in crisi, le quali sono sempre solo delle temporanee e
violente soluzioni delle contraddizioni esistenti, violente
eruzioni che ristabiliscano momentaneamente lequilibrio
turbato.
Il vero limite della produzione
capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il capitale
[<=] e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di
partenza e punto di arrivo, come motivo e scopo della produzione;
che la produzione è solo produzione per il capitale, e
non al contrario i mezzi di produzione sono dei semplici mezzi
per una continua estensione del processo vitale per la società
dei produttori. I limiti nei quali possono unicamente muoversi la
conservazione e lautovalorizzazione del valore-capitale,
che si fonda sulla espropriazione e limpoverimento della
grande massa dei produttori, questi limiti si trovano dunque
continuamente in conflitto con i metodi di produzione a cui il
capitale deve ricorrere per raggiungere il suo scopo, e che
perseguono laccrescimento illimitato della produzione, la produzione
come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze
produttive sociali del lavoro. Il mezzo lo sviluppo
incondizionato delle forze produttive sociali viene
permanentemente in conflitto con il fine ristretto, la
valorizzazione del capitale esistente. Se il modo di produzione
capitalistico è quindi un mezzo storico per lo sviluppo della
forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato
mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra
questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che
gli corrispondono.
Il modo capitalistico di produzione trova
nello sviluppo delle forze produttive un limite il quale non ha
nulla a che vedere con la produzione della ricchezza come tale; e
questo particolare limite attesta il carattere ristretto,
semplicemente storico, passeggero del modo capitalistico di
produzione; prova che esso non rappresenta affatto
lunico modo di produzione che possa produrre la ricchezza,
ma al contrario, giunto a una certa fase, entra in conflitto con
il suo stesso ulteriore sviluppo. La produzione capitalistica
tende continuamente a superare questi limiti immanenti, ma riesce
a superarli con dei mezzi che la pongono di fronte agli stessi
limiti su scala nuova e più alta. Lenorme capacità
che il sistema della fabbrica possiede di espandersi a balzi e la
sua dipendenza dal mercato mondiale, generano di necessità una
produzione febbrile e un conseguente sovraccarico dei mercati,
con la contrazione dei quali sopravviene una paralisi. La vita
dellindustria si trasforma in una serie di periodi di
vitalità media di prosperità, sovraproduzione, crisi e
stagnazione. Detratti i tempi di prosperità, infuria fra i
capitalisti una lotta accanita per la loro individuale parte di
spazio sul mercato [<=]. La cosa che più incisivamente
fa sentire al borghese, uomo pratico, il movimento
contraddittorio della società capitalistica sono le alterne
vicende del ciclo periodico percorso dallindustria moderna,
e il punto culminante di quelle vicende: la crisi generale.
Essa è di nuovo in marcia, benché ancora sia agli stadi
preliminari.
[f.e.- k.m.]
Crisi del lavoro
(forza-lavoro e salario sociale)
La fase critica del capitalismo che è emersa
con prepotenza già alla fine del 2008 ha portato con sé un
evidente peggioramento del salario sociale reale [cfr. quiproquo
43], ossia delle condizioni generali dei lavoratori di ogni parte
del mondo. Il salario reale è una misura determinata, diceva
Marx, che esprime il prezzo del lavoro in rapporto col
prezzo delle altre merci; il salario relativo è, invece, il
prezzo del lavoro immediato, in confronto col prezzo del lavoro
accumulato, il valore relativo di lavoro salariato e capitale, il
valore reciproco di capitalisti e lavoratori. Esso è determinato
dal suo rapporto col guadagno, col profitto del capitalista. Il
salario reale può restare immutato, anzi può anche aumentare, e
ciononostante il salario relativo può diminuire. Esso è naturalmente
di classe, e, dunque, è sociale in quanto vale non per
il singolo individuo ma per la specie e, pertanto, il
lavoratore non appartiene a questo o quel borghese ma alla
classe borghese.
Proprio questa sua caratterizzazione generale,
di classe, implica che a momentanei miglioramenti
salariali (diretti o indiretti) di una particolare branca
produttiva o dei lavoratori di una determinata area geografica
tenderà a corrispondere un peggioramento in altri settori o
paesi, nellipotesi che le condizioni di accumulazione o
di lotta economica (sindacale) non abbiano recuperato terreno a
livello globale. La divisione internazionale del lavoro, e
lalta mobilità del capitale, da questo punto di vista,
viene ideologicamente utilizzata dalla classe dominante per
alimentare le condizioni di attrito tra lavoratori non coscienti,
sulla base di immaginarie contrapposizioni etniche o religiose.
Pertanto, in una condizione come quella
attuale, lo strumento della concorrenza tra i lavoratori [cfr.
voce successiva] viene così ad essere esasperato anche perché
è una delle leve che permette al capitale di non subire una
crisi verticale, ossia di non precipitare drasticamente; la
riduzione del salario al di sotto del suo valore è dunque
frutto di tale fenomeno e consente al saggio generale di profitto
di non cadere verticalmente, ma in maniera tendenziale.
Accanto allaumento del grado di sfruttamento del
lavoro, alla riduzione del prezzo degli elementi del capitale
costante, alla sovrappopolazione relativa, al commercio estero e
allaccrescimento del capitale azionario, tale
contrazione rappresenta per altro una delle cause più
importanti che frenano la tendenza alla caduta del saggio del
profitto.
La finzione economica scambia le leggi che regolano il movimento generale del salario ossia il rapporto fra classe operaia, cioè forza-lavoro complessiva, e capitale complessivo sociale, con le leggi che distribuiscono la popolazione operaia fra le sfere particolari della produzione. Se per esempio a causa di una congiuntura favorevole laccumulazione è particolarmente forte in una data sfera di produzione, i profitti sono maggiori di quelli medi e il capitale addizionale preme per entrarvi, la domanda di lavoro e il salario saliranno naturalmente. Il salario più elevato attira nella sfera favorita una parte maggiore della popolazione operaia, finché la sfera sarà satura di forza-lavoro, e finché a lungo andare il salario riscenderà al suo livello medio anteriore o al di sotto di questo, qualora la calca fosse stata troppo grande. Allora limmigrazione di operai nel ramo dindustria in questione non solo finisce, ma cede addirittura il suo posto alla loro emigrazione.
Lesercito industriale di riserva preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sullesercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrappopolazione e del parossismo le rivendicazioni. La sovrappopolazione relativa è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e dellofferta del lavoro. Essa costringe il campo dazione di questa legge entro i limiti assolutamente convenienti alla brama di sfruttamento e alla smania di dominio del capitale [cfr. quiproquo 62].
Dunque, in una fase come quella attuale, caratterizzata da una potente contrazione nelle possibilità di accumulazione del capitale e, conseguentemente, una formidabile liberazione di forza lavoro, naturalmente la dinamica del salario sociale, dunque inteso come un unicum, tende al ribasso. Non cè dunque da rimanere stupiti se i lavoratori dei paesi più arretrati ed indebitati dellUnione europea, i cosiddetti piigs, vedano quotidianamente, ed inesorabilmente, peggiorare le proprie condizioni di vita: i margini di tale tendenza al ribasso sono, pertanto, ancora sufficientemente ampi giacché, il livello salariale medio percepito dalla classe lavoratrice nei cosiddetti paesi avanzati si è attestato a lungo al di sopra di quello sociale (mondiale medio complessivo di classe). Il fenomeno a cui si sta assistendo è ascrivibile alla eutanasia della middle class europea: dopo aver giovato, per decenni, delle briciole trasferite dallo sfruttamento dei lavoratori dei paesi dominati dal capitale imperialistico quelle che Lenin definiva come briciole dei privilegi derivanti dalla posizione di grande potenza della propria nazione la tendenza è oramai inarrestabile e dovuta alle ragioni di cui si è detto in precedenza.
Del resto, il processo di precarizzazione dei
contratti di lavoro ha ripreso il suo corso dopo essere
stato alla base dellaccumulazione capitalistica almeno fino
alla prima metà del secolo xx proprio in coincidenza dellemersione
più grave della crisi che ha trovato la sua manifestazione più
estrema dopo il fallimento forzato di Lehman Brothers. Da tale
momento storico, dunque, le condizioni dei lavoratori, seguendo landamento
generale dallaccumulazione intermittente del capitale
mondiale, hanno subito, nelloccidente, un drastico
peggioramento e, le follie accademiche, del tutto morali, che si
pongono dinanzi a tale fenomeno (decrescita in primis)
assumono un ruolo del tutto anacronistico e mistificatorio.
Si capisce quindi la follia di quella sapienza economica che predica agli operai di adeguare il loro numero ai bisogni di valorizzazione del capitale. Il meccanismo della produzione e dellaccumulazione capitalistica adegua questo numero costantemente a questi bisogni di valorizzazione. Prima parola di questo adeguamento è la creazione di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva, ultima parola la miseria di strati sempre crescenti dellesercito operaio attivo e il peso morto del pauperismo.
Proprio per la natura fenomenica della riduzione del salario in molti dei cosiddetti piigs, è del tutto vano o legato a puri impeti volontaristici sperare in un movimento indistinto di ribellione che possa permettere un avanzamento sul terreno della lotta contro il capitale in putrescenza. In assenza di una valida organizzazione dei lavoratori (sindacato o pure partito), realmente egemone della piazza, che possa porre sul piano della lotta di classe eventuali rivendicazioni, ogni tentativo appare del tutto velleitario.
Ricordava Engels [cfr. dopo] come anche i sindacati siano una necessità per le classi lavoratrici nella loro battaglia contro il capitale. Il saggio medio di salario è pari alla quantità di denaro sufficiente a riprodurre la specie degli operai in un certo paese, secondo lo standard di vita abituale di quel paese. Lo standard di vita può essere assai differente per diverse classi di lavoratori. Il grande merito dei sindacati, nella loro battaglia per alzare il saggio salariale e per ridurre lorario di lavoro, è che essi tendono a far salire lo standard di vita. Una potente organizzazione permette agli uni di mantenere un relativamente alto standard di vita; mentre gli altri, disorganizzati e privi di potere, devono sottomettersi non solo allinevitabile, ma anche allarbitraria usurpazione di coloro che li impiegano: il loro standard di vita viene gradualmente ridotto, essi imparano a vivere con salari sempre più bassi, ed i loro salari cadono naturalmente a quel livello che essi stessi hanno imparato ad accettare come sufficiente.
[f.s.]
Crisi e guerre # 1
(crollo del capitalismo)
Il capitalismo moderno è un capitalismo
mondiale. Questo significa che i rapporti di produzione
capitalistici dominano nel mondo intero, e che tutte le parti del
nostro pianeta sono legate fra loro da un solido vincolo
economico. Leconomia mondiale è ununità reale
esistente. La connessione e interdipendenza generale dei
singoli stati capitalistici tra loro li rende parti integranti
di un sistema generale, mondiale. Le tendenze verso
lorganizzazione superano i limiti del singolo stato
[<=]. Di conseguenza il processo di organizzazione ha trovato
[ottantanni fa] in questi tentativi del mondo capitalistico
la sua più alta espressione. Gli accordi monopolistici, le
associazioni di imprese e le penetrazioni del capitale bancario
nellindustria hanno creato un nuovo tipo di rapporti di
produzione; è subentrato un nesso organico attraverso il
controllo dei pacchetti azionari, la
partecipazione e il finanziamento,
che trovano la loro personale espressione nei
dirigenti comuni delle banche e delle industrie, dei
gruppi e dei grandi complessi monopolistico-finanziari.
Esistono legàmi anche tra singoli
imprenditori capitalisti di differenti paesi e la
natura di questi legàmi può in qualche caso concreto essere direttamente
contrapposta al modo in cui questi paesi sono
collegati tra loro. Tali capitalisti, posti luno di fronte
allaltro, non soltanto si contrappongono come unità che
producono la medesima merce mondiale, ma anche come
parti del lavoro sociale ripartito su scala mondiale, che si completano
reciprocamente sul piano economico. Nellàmbito dei
rapporti di produzione esistono anelli della catena, strati della
scala gerarchica tecnico sociale, dissociati. Presso gli anelli
superiori della catena si consolida sempre più la mentalità
della lotta allo scopo di mantenere il sistema. Di
conseguenza, la lotta si realizza contemporaneamente su diversi
piani.
Il frazionamento della produzione
capitalistica [<=], il suo essere anarchico, tuttavia, va
ben oltre i limiti della divisione sociale del lavoro
[<=]. Sotto il concetto di divisione sociale del
lavoro si intende la ripartizione del lavoro tra i diversi
imprenditori capitalisti indipendenti luno
dallaltro; tuttavia essi devono ricorrere luno
allaltro, poiché luno fornisce le materie prime e le
risorse allaltro. In conseguenza della reciproca
dipendenza di ogni parte delleconomia, anche gli
imprenditori eterogenei sono in lotta tra loro. Questa generale
tendenza viene accelerata da quella, tra le tendenze del
capitalismo finanziario, che va nella direzione di più alti
tipi di organizzazione, che producono uno stabile
raggruppamento tecnico produttivo. Il processo
organizzativo non occorre che cominci dal lato tecnico
produttivo; lo scopo soggettivo del suo supporto può anche non
essere lorganizzazione ma il puro calcolo economico,
e nonostante ciò lobiettivo risultato finale può essere
la creazione di nuovi complessi tecnico produttivi.
Il limite di questa tendenza è dato
dalla trasformazione dellintera economia in un grande
monopolio finanziario combinato, nel quale tutte le rimanenti
imprese abbiano smesso di essere tali e si siano
trasformate in singoli laboratori, in filiali di questo
complesso. Lintera economia corrisponde al raggrupparsi
della borghesia mondiale. La lotta concorrenziale, cioè la
lotta tra imprenditori capitalisti, può anche essere condotta
allesterno del mercato, nel senso proprio del termine,
come la lotta per linvestimento di capitale, cioè
per lestendersi del processo di produzione.
In questo caso è chiaro che devono essere
applicati altri metodi di lotta rispetto al caso
classico della concorrenza tradizionale. Il mercato
diviene effettivamente mercato mondiale [<=], e cessa
di essere nazionale. Come avviene allinterno
di un gruppo imprenditoriale, derivante dalla fusione di più
imprenditori, i prodotti rappresentano merci soltanto in quanto
vengono gettate sul mercato dallintero complesso
articolato. Allinterno di un paese, un prodotto è merce
solo perché collegato con lesistenza del mercato
mondiale. La differenza con leconomia nazionale
sta semplicemente nellestensione del sistema
economico e nel carattere delle parti costitutive di tale
sistema.
La lotta per la ripartizione del
plusvalore [<=] si fa più complessa con la formazione
di tutti i possibili monopoli capitalistici. La centralizzazione
[<=] del capitale distrugge la concorrenza, però daltra
parte la riproduce incessantemente su una base più allargata.
Essa annienta lanarchia delle piccole unità produttive,
inasprisce però i rapporti anarchici tra le grandi componenti
produttive; essi si trasformano in attriti tra le parti
fondamentali del grande meccanismo mondiale.
Gli attriti del sistema economico
scompaiono in alcuni ambiti soltanto per riaffiorare in più
grandi dimensioni altrove: essi si trasformano in contrasti tra
le parti fondamentali del grande sistema mondiale. E le
opposizioni tra le singole parti di questa economia si pongono su
due piani principali: su quello del mutuo anarchico
rapporto tra imprenditori e su quello della costruzione
anarchica della società come società di classi
[<=].
Nelleconomia mondiale la centralizzazione
del capitale trova la sua espressione nelle annessioni
imperialistiche che si distinguono nettamente dalle linee
fondamentali della lotta concorrenziale. Il passaggio al sistema
del capitalismo finanziario rafforza sempre più il processo di
trasformazione della concorrenza, anche come manifestazione
immediata di potere. Corrispondendo anche la forma della lotta al
tipo della concorrenza, ne consegue inevitabilmente sul mercato
mondiale un inasprimento dei rapporti. Perciò il sistema del
capitale finanziario mondiale richiama inevitabilmente la lotta
armata dei concorrenti imperialisti. Qui risiede anche la radice
dellimperialismo [<=].
Qualsiasi fase dello sviluppo storico crea un
particolare tipo di rapporti, e innanzitutto rapporti di
produzione. Qualsiasi struttura di produzione ha quindi un tipo
adeguato di guerra [<=]. Il significato sociale di questo
fenomeno è che la guerra è un mezzo di riproduzione di quei
rapporti di produzione, sul fondamento dei quali essa si origina.
Le cosiddette guerre coloniali erano guerre di stati di
capitalismo commerciale. Appena il capitale industriale e le sue
organizzazioni statali si gettarono nella lotta per i mercati di
sbocco, cominciarono le guerre per sottomettere al dominio del
capitale industriale il mondo arretrato. Da ultimo
[era il 1918, quasi un secolo fa], appena il modo di produzione
capitalistico prese la forma del capitale finanziario, venne
fuori anche un particolare tipo del potere statale, lo stato
imperialistico rapinatore con il suo apparato militare
centralizzato. Il ruolo sociale della guerra consisteva ora
nellestensione del dominio del capitale finanziario
[<=], con i suoi monopoli industriali e cartelli bancari.
Nella società capitalistica la struttura economica
conduce in ultima analisi a unacuta crisi [<=]
nella sua formazione politica, che si esprime nello scontro tra
le organizzazioni statali del capitale e nelle guerre
capitalistiche. La guerra, allora, suscita un raggrupparsi
delle forze su una stessa base: la forma del potere statale e il
suo contenuto sociale continuano a sussistere. Non si pensi
tuttavia che lo stato sia qualcosa che stia al di sopra
della società e delle classi. La società non contiene alcun
elemento che stia sopra le classi.
Daltra parte, la funzione fondamentale
dello stato consiste nel mantenimento, nel consolidamento e
nellestensione del processo di sfruttamento, in quanto si
tratti del dominio di una minoranza. Come ebbe a scrivere Engels:
lo stato è unorganizzazione della classe dei
proprietari per la difesa contro i non proprietari. Queste
funzioni del potere statale non escludono in alcun modo il loro puro
carattere di classe. Accade qui lo stesso che in
unorganizzazione qualunque della classe dominante.
Lorganizzazione statale è la più ampia organizzazione
di classe, nella quale si concentra lintera sua forza,
oppressione, coercizione, nella quale la classe dominante è
organizzata in quanto classe, non in quanto parte di essa.
La concentrazione della potenza sociale
della borghesia nel potere statale, concresciuto con le
organizzazioni economiche del capitale, crea una gigantesca
resistenza per il movimento operaio. Tuttavia, la stessa forma
capitalistica statale delleconomia nazionale diviene
possibile soltanto con una determinata maturità
dei rapporti capitalistici in generale. Essa è tanto più
solida, quanto più sia elevato lo sviluppo delle forze
produttive, lorganizzazione finanziaria capitalistica,
linsieme dei rapporti monopolistici del nuovo
capitalismo. Soltanto sotto queste condizioni si origina un
nuovo tipo di potere statuale, il tipo classico dello
stato imperialista.
A questo punto si origina la questione su
quali siano le parti che agiscono coscientemente
nelleconomia mondiale capitalistica. Teoricamente è
concepibile un capitalismo mondiale come sistema di singoli
imprenditori privati. Tuttavia la struttura del capitalismo
moderno è di tal genere che le organizzazioni collettive
capitalistiche che rappresentano i soggetti di questa economia
sono i capitali monopolistici di stato [questa
è la dizione che Bukharin introdusse nel 1918, a ridosso
dellesito della I guerra mondiale, per parlare
dellimperialismo nazionale, dominante in
quella fase, prima di quelle successive fasi, dopo la II guerra
mondiale e oltre, ufficialmente denominate rispettivamente
multinazionale e transnazionale].
La distruzione delle forze produttive e il
processo della centralizzazione capitalistica acutizzano oltre il
consueto le opposizioni tra le classi. Come conseguenza della
guerra si osservano i medesimi fenomeni che seguono alle crisi:
accanto alla distruzione delle forze produttive, annientamento di
piccoli e medi raggruppamenti internazionali e sottomissione di
stati indipendenti sono allorigine di
combinazioni ancora più vaste che accrescono i costi dei gruppi
in declino. I capitali monopolistici di stato, come
parti componenti, formano le coalizioni di stati o la
lega dei popoli. I presupposti per queste
organizzazioni sono dati dalle associazioni capitalistiche
finanziarie, in base alla loro reciproca
partecipazione. La guerra ha rafforzato il processo
di questa debole connessione tra capitali monopolistici di
stato.
La crisi dovuta alla guerra conduce alla
crisi dellintero sistema. Ma negli spazi angusti dei
singoli capitali monopolistici di stato, il primo
stadio della guerra era lo stadio di una riorganizzazione
dei rapporti di produzione capitalistici delle parti del sistema
in lotta tra loro. La guerra si attua in questa considerazione
come una crisi di gigantesche proporzioni. Mentre la massa del
plusvalore prodotto decresce, essa si concentra e
si accumula nelle più forti unità economiche. Il processo di
centralizzazione del capitale è stato straordinariamente
accelerato, e questa centralizzazione accelerata ha modellato la
condizione negativa della nuova forma di rapporti
capitalistici, mentre quelle positive hanno creato i bisogni
della guerra come un potente processo organizzato. I
bisogni di guerra giocano, anche considerando la totalità dei
rapporti sociali come rapporti tra le classi, un ruolo
centrale, dato che la mobilitazione dei proletari per la guerra,
e in nome di essa, è un presupposto necessario tanto per la
conduzione della guerra imperialistica quanto per la produzione
materiale.
La dimensione della guerra, la sua tecnica, i
complessi rapporti interni dellapparato militare,
lenorme domanda dei prodotti dellindustria militare e
delle derrate alimentari, che lorganizzazione del conflitto
immediatamente introduce, e infine il significato dellesito
delle operazioni di guerra per la classe al potere, pongono
allordine del giorno come altamente possibile il
superamento dellanarchia allinterno
delle parti in lotta del sistema stesso. Tutto ciò è accentuato
dalla mancanza di molti prodotti, in particolare di
materie prime, con il deteriorarsi dei rapporti internazionali e
che cresce sempre più con il generale esaurimento delle scorte e
impoverimento.
È facile comprendere che la classe dei
capitalisti (e i rappresentanti del capitale finanziario ne
rappresentano lelemento dinamico) nel suo insieme,
attraverso questa centralizzazione, guadagna fuori
dellordinario. In quanto non salti lintero sistema,
il modo di produzione capitalistico deve ridurre transitoriamente
le forze produttive ed eliminare parzialmente i contrasti tra i
singoli elementi del sistema economico; con ciò può
ricominciare un ulteriore ciclo del loro sviluppo sotto il
medesimo involucro. Questa distruzione delle forze
produttive costituisce la conditio sine qua non dello
sviluppo capitalistico; sotto questo punto di vista, le crisi
rappresentano i costi di concorrenza e le guerre i faux frais
(costi improduttivi) [<=] della riproduzione capitalistica.
Per forze produttive si intende la totalità
dei mezzi di produzione e delle forze-lavoro [<=], in
natura. Lo sviluppo delle forze produttive è il fondamento
dello sviluppo umano in generale, e si accorda col punto di vista
della riproduzione. Il loro decrescere trova la sua espressione
nel fatto che viene riprodotta una parte sempre più scarsa dei
prodotti periodicamente consumati: ci si trova così di fronte a
un regresso sociale. Rispetto al processo di produzione reale,
invece, con lintera economia allinsegna della
guerra, ha luogo una nuova ripartizione delle forze
produttive nellinteresse dellindustria bellica
e in generale del lavoro a favore dellesercito. Ma qui ha
luogo, appunto, soltanto una nuova ripartizione del plusvalore,
un suo mutamento di forma, nella direzione di quei gruppi
capitalistici finanziari. In ciò consiste lessenza
dellorganizzazione capitalistica di stato,
in quanto si ha a che fare con le categorie del profitto e della
ripartizione del plusvalore. Il lavoro trasformato per i bisogni
di guerra è caratterizzato come lavoro improduttivo. Ciò
risulta chiaramente indagando la sua influenza sulle condizioni
di riproduzione. Infatti, in tali condizioni, i mezzi di
produzione sono ogni volta incorporati al sistema del lavoro
sociale. La produzione di mezzi di consumo è condizione per la
riproduzione, e questi mezzi non scompaiono senza lasciar traccia
negli ulteriori cicli del processo di produzione, poiché il
processo di consumo è considerato nei suoi fondamenti un
caratteristico processo di riproduzione della forza-lavoro.
Senza entrambi questi mezzi il processo di riproduzione non può
aver luogo.
La produzione di guerra, viceversa, ha
tuttaltro significato, e non compare in alcun modo come
materiale nel successivo ciclo di produzione. Leffetto
economico di questi elementi è una grandezza puramente negativa.
Se si considerano i mezzi di consumo, essi non generano qui
forze-lavoro, poiché i soldati non figurano nel processo di
produzione. Appena la guerra si arresta, i mezzi di consumo
servono in gran parte non in quanto mezzi di riproduzione della
forza-lavoro, ma come mezzi di produzione della specifica
forza militare, che non gioca alcun ruolo nel
processo di produzione. Ne consegue che il processo di
riproduzione assume con la guerra un carattere
deformato, regressivo, negativo: con
qualsiasi ciclo produttivo successivo la base reale di
produzione diventa sempre più ristretta. La spesa
militare non produce, bensì sottrae. Si perviene in
questo caso a una doppia perdita sul fondo di
riproduzione: essa rappresenta il più importante fattore
di distruzione; e le più importanti distruzioni belliche
devono pure essere considerate sotto laspetto di
unintera serie di distruzioni indirette (vie, città, ecc.
e anche forza-lavoro). Questa è la guerra, considerata
dal punto di vista economico.
Si deve distinguere dal processo materiale la
sua capitalistica, arida, feticistica, deformata espressione.
Sulla trasposizione di questi due processi quello materiale
e quello formale riposa la mostruosa teoria degli
effetti positivi della guerra. Nel processo della
guerra, la realizzazione del valore può essere contrassegnata o
come distruzione del capitale o come realizzazione della decrescente
massa di plusvalore, attraverso la sua nuova ripartizione a
favore dei grandi gruppi. Una grande quantità del valore è
accumulata in titoli, e costituisce segno di valore, la
realizzazione del quale sta nel futuro. La grande inondazione di valori
cartacei nelle loro forme più differenti è del tutto
incommensurabile al reale processo di lavoro [<=], e
sotto i rapporti della struttura capitalistica ciò diviene una
nota caratteristica del suo sfacelo. In questa maniera la
riproduzione negativa corre parallelamente allaumentare
del valore cartaceo.
Senonché, come detto, qualsiasi crisi
capitalistica comporta una temporanea distruzione delle
forze produttive. In ultima istanza, la crisi estende i settori
dellulteriore sviluppo del sistema capitalistico. Lo stesso
avviene anche in caso di guerra. Con la guerra si ha a che fare
con una crisi, anche se in dimensioni e forme mai
viste, ma in nessun senso con un crollo del
sistema capitalistico: dopo che si siano sanate le piaghe,
riallacciati i rapporti e ricostruite le parti distrutte del
capitale, il modo di produzione capitalistico riceverebbe la
possibilità, ma a quale prezzo, di un ulteriore sicuro sviluppo,
anche dei rapporti di produzione dati, sì che la loro estensione
spaziale diverrebbe sempre più grande.
Ma le forze produttive esistono unite con i
rapporti di produzione in un determinato sistema di
organizzazione sociale del lavoro. Di conseguenza, la
dissoluzione del sistema capitalistico sarebbe inevitabilmente
accompagnata da unulteriore riduzione delle forze
produttive. In tal modo il processo di riproduzione negativa
verrebbe estremamente accelerato. È altresì chiaro che, in
ogni caso, la base reale della produzione sociale si restringe
con la rotazione del capitale complessivo. Si ha qui una sempre
crescente sottoproduzione: è questo il processo contrassegnato
come riproduzione negativa.
Il periodo del crollo, perciò, non significa un annientamento degli elementi, ma un venir meno del nesso tra loro. La questione crisi o crollo dipende dal concreto carattere, profondità e durata, delle scosse riguardanti il sistema capitalistico. Questultimo potrebbe proseguire dopo un certo ristagno il suo sviluppo nelle forme più complete sul piano organizzativo. Lorganizzazione dello stato borghese concentra in sé lintero potere della classe dominante. Questo processo trova la sua espressione in due forme: la prima, nelleliminazione della forza-lavoro dal processo di produzione; la seconda, nella diminuzione del salario reale del lavoro, nella dequalificazione di questultimo e in ultima istanza nella lacerazione del nesso tra gli elementi inferiori e superiori della gerarchia di produzione.
[n.b.]
(da Nikolaj Bukharin, Economia del periodo
di trasformazione)
Crisi e guerre # 2
(svalutazione e spese belliche)
Ogni nuova invenzione dice Marx
già nella Miseria della filosofia del 1847 che
permetta di produrre in unora ciò che finora si produce in
due ore, deprezza tutti i prodotti dello stesso genere che si
trovino sul mercato. Servendo di misura la valore di scambio, il
tempo di lavoro diviene in tal modo la legge di un deprezzamento
continuo del lavoro. Di più. Si avrà un deprezzamento non solo
per le merci portate sul mercato, ma anche per gli strumenti di
produzione e per la fabbrica in tutto il suo complesso. E
Marx nel Capitale, a proposito delle contraddizioni
intrinseche precisa che si tratta di una legge
per la produzione capitalistica determinata dalle incessanti
rivoluzioni nei metodi di produzione e dal deprezzamento
continuo del capitale esistente che ne è la conseguenza.
Migliore tecnica significa soltanto che il prodotto viene
fabbricato in un tempo più breve, cioè con limpiego di
meno lavoro di prima. Conseguentemente il valore del prodotto
deve scendere. Ma non soltanto il valore del prodotto. Per
reazione questa diminuzione di valore si trasferisce sulle merci
che si trovano sul mercato e che furono prodotte precedentemente
con un maggiore spreco di tempo: esse vengono svalutate.
Per esempio, se in seguito a una nuova invenzione una
macchina dello stesso tipo può essere riprodotta con diminuito
dispendio di lavoro, la macchina vecchia si svalorizza
più o meno, e quindi trasmette corrispondentemente meno valore
al prodotto [Marx, Il capitale, I.6].
La svalutazione [<=] è un fenomeno
necessario del meccanismo capitalistico anche nel suo decorso
ideale, cioè anche quando lo pensiamo nello stato di equilibrio.
Essa è una conseguenza necessaria dellincessante
miglioramento della tecnica, del fatto che il tempo di lavoro
serve come misura del valore di scambio. In accordo con la
realtà, che sta a fondamento degli scemi di riproduzione
marxiani, debbono essere considerate le svalutazioni dei valori
esistenti. Infatti, laumento della forza produttiva
(che va sempre di pari passo con la svalutazione del capitale
esistente) può accrescere direttamente il valore del capitale
solo se, elevando il tasso del profitto, aumenta la parte di
prodotto annuo che deve essere riconvertita in capitale. Questo
può accadere unicamente se ciò derivi un accrescimento del
plusvalore relativo o una svalutazione del capitale costante,
unicamente dunque se si verifichi una diminuzione del prezzo
delle merci che entrano nella riproduzione della forza-lavoro
oppure negli elementi del capitale costante. Ambedue i casi
determinano una diminuzione di valore del capitale esistente, e
una riduzione contemporanea del capitale variabile in rapporto al
costante; ambedue provocano la diminuzione del tasso di profitto,
ma ne rallentano daltro lato la caduta [C, III.15,2].
Caduta del tasso di profitto e
accelerazione dellaccumulazione sono semplicemente diverse
espressioni di uno stesso processo, ambedue esprimendo lo sviluppo
della forza produttiva [<=]. Laccumulazione
[<=] determina la caduta del tasso di profitto, in quanto
determina una composizione superiore del capitale; daltro
lato, la diminuzione del tasso di profitto [<=]
accelera, a sua volta, la concentrazione di capitale e la sua
centralizzazione mediante lespropriazione di piccoli
capitalisti [ivi, 1]. Se si trascura il fenomeno
della svalutazione del capitale esistente, si è allora anche
incapaci di spiegare il processo di concentrazione e centralizzazione
[<=] così caratteristico e fondamentale per il meccanismo
capitalistico.
Nel vedere come agisca la svalutazione del
vecchio capitale sul processo di riproduzione, ci si limita alla
rappresentazione di quegli effetti che sono collegati
direttamente col problema dellaccumulazione. Esso
trova il suo ultimo limite nellinsufficiente
valorizzazione. Ciò può essere conseguito, si è detto,
soltanto per il fatto che a. il plusvalore relativo si
elevi, o b. il valore del capitale costante venga
diminuito. Per la sua intrinseca natura, la produzione
capitalistica tende a considerare il valore-capitale esistente
come mezzo per la massima valorizzazione di questo valore. Tra i
metodi di cui si serve per ottenere questo scopo sono inclusi: la
diminuzione del tasso di profitto, il deprezzamento del capitale
esistente, lo sviluppo delle forze produttive del lavoro a spese
delle forze produttive già prodotte. Il periodico deprezzamento
del capitale esistente, che è un mezzo immanente del modo di
produzione capitalistico per arrestare la diminuzione del tasso
di profitto e accelerare laccumulazione del valore-capitale
mediante la formazione di nuovo capitale, turba le condizioni
date in cui si compie il processo di circolazione e riproduzione
del capitale e provoca di conseguenza degli arresti improvvisi e
delle crisi del processo di produzione [ivi,
2].
Dove si manifesta leffetto della
svalutazione del capitale? Per comprendere questo fatto non si
deve dimenticare che il concetto di composizione organica del
capitale sta in strettissimo rapporto con il processo di
svalutazione del capitale esistente. La conseguenza della
svalutazione si mostra cioè nel fatto che la medesima
quantità di mezzi di produzione rappresenta un valore
più piccolo. Nel caso in questione gli elementi di
produzione prodotti a un dato valore devono essere svalutati in
un momento successivo. Dato che il valore del capitale
costante è diminuito, è da calcolare su un capitale diminuito
la medesima quantità di plusvalore; il tasso di valorizzazione
dunque cresce e in questo modo il limite del crollo viene
procrastinato in un futuro più lontano.
Distruzione del capitale dovuta a crisi
significa svalorizzazione di masse di valore. Con ciò non
vien distrutto alcun valore duso. Ciò che perde
luno, guadagna laltro. I vecchi capitalisti fanno
bancarotta, benché il compratore delle loro merci, avendole
acquistate sotto al loro prezzo di produzione, può realizzare un
profitto. Una grande parte del capitale della società, cioè il
valore di scambio del capitale esistente, è distrutto una volta
per sempre, sebbene proprio questa distruzione, lasciando intatto
il valore duso, possa promuovere notevolmente la nuova
riproduzione [Karl Marx, Teorie sul plusvalore,
II.17]. Si osservi: per quanto le svalutazioni del capitale
esistente che subentrano con le crisi, possano anche colpire i singoli
capitalisti, esse tuttavia, per la classe dei capitalisti,
per il sistema capitalistico sono una valvola di sicurezza, un
mezzo per prolungare la vita del sistema. Gli individui vengono
perciò sacrificati nellinteresse della categoria.
Contemporaneamente alla caduta del tasso del profitto,
cresce la masse dei capitali e al tempo stesso si verifica una
diminuzione di valore del capitale esistente, che frena questa
caduta e tende ad accelerare laccumulazione del capitale
esistente.
Sotto il concetto di svalutazione è da
intendere la vendita delle merci a prezzi di fallimento;
resta invece esclusa la svalutazione dei titoli, delle
azioni, attraverso la quale leconomia non diventa né più
ricca né più povera. Del resto, essa è soltanto di natura
transitoria, e alla lunga i titoli crescono perfino di valore,
perché con la caduta del tasso di profitto cresce sempre
il loro corso. Devono dunque essere valorizzate masse sempre più
grandi di capitali.
Le forme nelle quali si esprime la
svalutazione del capitale accumulato, allinterno di una
data economia, sono molteplici: !. Marx tratta
inizialmente il caso normale, la svalutazione
periodica in conseguenza del miglioramento della tecnica, dove
subentra dunque la diminuzione di valore del vecchio capitale,
mentre la massa dei mezzi di produzione rimane la stessa; 2.
si otterrà pure il medesimo effetto sulla tendenza al crollo, se
con le guerre, le rivoluzioni, luso prolungato senza
temporanea riproduzione, ecc., lapparato di riproduzione
viene consumato o distrutto, non soltanto come valore ma anche
come valore duso. Per una data economia la svalutazione
agisce come se laccumulazione di capitale si trovasse a un
grado più basso dello sviluppo. In questo modo, lo spazio lo
spazio di estensione per laccumulazione di capitale diviene
più grande.
Solo partendo da questo punto di vista
teorico possiamo concepire la funzione reale delle distruzioni
di guerra [<=] allinterno del capitalismo. Ben
lontane dallessere un impedimento per lo sviluppo del
capitalismo o una circostanza che accelera il crollo dello
stesso, le distruzioni e le svalutazioni di guerra sono piuttosto
un mezzo per attenuare il crollo che si fa minaccioso, per dare
aria fresca allaccumulazione di capitale. Ognuna delle
perdite di capitale, conseguenti alle spese di guerra,
alleggerisce la situazione di tensione e apre lo spazio per una
nuova espansione. Così agirono soprattutto le colossali
perdite di capitale e le svalutazioni in seguito alla guerra
mondiale. Tale disavanzo enorme fu in parte coperto
dalleccedenza annuale della produzione sul consumo.
Tuttavia la ripartizione di ciò sui singoli paesi è del tutto
ineguale: con la guerra lEuropa si impoverì, mentre Stati
uniti e Giappone si arricchirono più rapidamente che non in
tempo di pace.
Ma poiché, nel medesimo tempo, la
popolazione degli stati europei, nonostante le perdite di guerra,
è cresciuta, è così presente una grande base di valorizzazione
nei confronti di un capitale che è divenuto più piccolo, e si
è dunque creato un nuovo spazio per laccumulazione. Tutti
i trasferimenti di valore sul piano internazionale agiscono nello
stesso senso sui destinatari. I pagamenti di riparazione imposti
alla Germania si traducono per essa in un acuirsi della crisi, ma
vanno in senso opposto sui mercati degli alleati.
Dalla teoria marxiana dellaccumulazione, qui esposta,
risulta che la guerra e la svalutazione del
capitale, con essa collegata, attenuano la tendenza al
crollo: dovevano dare un nuovo impulso allaccumulazione
di capitale, e lhanno dato. Falsa è però la concezione di
Rosa Luxemburg, per cui anche dal puro punto di vista
economico, il militarismo appare al capitale un mezzo di
primordine per la realizzazione del plusvalore, cioè come
campo dellaccumulazione. Che la faccenda si possa
esporre dal punto di vista del singolo capitale, cosicché le
forniture dellesercito da sempre offrono
lopportunità per un rapido arricchimento, è cosa nota.
Dal punto di vista del capitale complessivo, però, il militarismo è un settore di consumo improduttivo. Qui i valori vengono sprecati invece di essere risparmiati, cioè investiti come capitale produttivo. Ben lontano dallessere un settore di accumulazione, il militarismo rallenta piuttosto laccumulazione. Gran parte del reddito della classe operaia che potrebbe arrivare nelle mani della classe imprenditoriale viene confiscata dallo stato con le imposte indirette e (in gran parte) speso per scopi improduttivi. Questa è una delle cause del rallentamento della formazione di capitale, e limpedimento della formazione di capitale si può scorgere nel fatto che lemissione di valori pubblici aumenta a dismisura.
[h.g.]
(da Henryk Grossmann, La legge
dellaccumulazione e del crollo del capitalismo,
III.1,11)
Crisi monetaria
(definizione generale)
In periodi di depressione la domanda del capitale
da prestito, produttivo dinteresse [<=], è
domanda di mezzi di pagamento e niente altro; in nessun caso è
domanda di denaro come mezzo di acquisto. Il tasso
dellinteresse può salire molto in alto, indipendentemente
dal fatto che vi sia sovrabbondanza o penuria di capitale reale
capitale produttivo e capitale-merce. La
domanda di mezzi di pagamento è una semplice domanda di
convertibilità in denaro, quando i commercianti e i
produttori possono offrire delle garanzie sufficienti; è una
domanda di capitale monetario [<=] quando ciò non si
verifica, quando cioè un anticipo di mezzi di pagamento dà loro
non solo la forma monetaria, ma lequivalente che
loro manca, sotto una forma o laltra, per il pagamento. È
un principio fondamentale della produzione capitalistica che il denaro
si contrappone alla merce [<=] quale forma autonoma del
valore, ossia che il valore di scambio deve assumere nel denaro
una forma autonoma, e ciò è possibile unicamente quando una
merce determinata diventa la materia al cui valore si devono
commisurare tutte le altre merci, cosicché proprio perciò
diventa la merce universale, la merce par excellence in
contrapposizione a tutte le altre merci.
Ciò si deve manifestare soprattutto
presso le nazioni capitalistiche sviluppate, che sostituiscono il
denaro in grandi quantità in due modi: da un lato
mediante operazioni di credito, dallaltro mediante moneta
di credito. In periodi di depressione, quando il credito si
restringe oppure cessa del tutto, il denaro improvvisamente si
contrappone in assoluto a tutte le merci quale unico mezzo di
pagamento e autentica forma di esistenza del valore. Di qui la
svalorizzazione generale delle merci, la difficoltà, anzi
limpossibilità di trasformarle in denaro, ossia nella loro
forma puramente fantastica. In secondo luogo, la moneta di
credito stessa è denaro unicamente nella misura in cui
rappresenta, in assoluto, nellimporto del suo valore
nominale, il denaro effettivo. Con il deflusso delloro,
la sua convertibilità in denaro, ossia la sua identità con
loro reale, diventa problematica. Di qui misure coercitive,
aumento del tasso dellinteresse ecc. al fine di assicurare
le condizioni di questa convertibilità. Ciò può essere più o
meno portato a eccessi mediante unerrata legislazione
fondata su errate teorie del denaro e imposta alla nazione
[<=] nellinteresse di trafficanti di denaro.
Ma la causa prima si trova nel fondamento
stesso del sistema di produzione. Una svalorizzazione della
moneta di credito (senza parlare delleventualità, del
resto puramente immaginaria, che essa perda le sue
caratteristiche di denaro) scuoterebbe tutti i rapporti
esistenti. Il valore delle merci viene quindi sacrificato al fine
di salvaguardare lesistenza immaginaria e indipendente di
questo valore del denaro. Come valore in denaro esso in generale
è sicuro soltanto fino a che è sicuro il denaro. Per qualche
milione in denaro devono essere sacrificati molti milioni di
merci. Ciò è inevitabile nella produzione capitalistica e
costituisce una delle sue attrattive. Nei modi di produzione
precedenti ciò non si verifica perché, data la ristrettezza
della base su cui si muovono, non si sviluppa né il credito, né
la moneta di credito. Fino al punto in cui il carattere sociale
del lavoro appare come lesistenza monetaria della
merce, e quindi come una cosa al di fuori della produzione
reale, le crisi monetarie sono inevitabili,
indipendentemente dalle crisi reali o come aggravamento di esse.
Daltra parte è evidente che, fino a quando il credito di
una banca non viene scosso, essa attutisce in tali casi il panico
accrescendo la moneta di credito, mentre lo accentua quando
invece la ritira. Tutta la storia dellindustria moderna
dimostra che in realtà, se la produzione interna fosse
organizzata, il denaro sarebbe richiesto soltanto per il saldo
del commercio internazionale, ogniqualvolta il suo equilibrio
fosse momentaneamente alterato. Che il mercato [<=]
interno non abbia ormai più bisogno della moneta metallica, lo
dimostra la sospensione dei pagamenti in contanti delle
cosiddette banche nazionali, sospensione a cui si ricorre in
tutti i casi estremi come allunico rimedio.
[k.m.]
Critica
Sappiamo qual è il prezzo di una raccolta
abusiva di testi critici marxisti, come quelli
incessantemente riproposti su queste pagine: il prezzo del
fallimento. O per lo meno del fallimento momentaneo
(delloblìo al limite). Nessuno dei testi così raccolti
ambisce al successo (terribilmente sfigurante). Ma ad
ogni tappa di questo lungo viaggio-processo (mentale), del
fallimento abbiamo la preveggente consapevolezza quando noi
persistiamo nel confidare nella proposta di una critica altra
(radicale nel suo farsi e proporsi) e strutturalmente poco
attraente nelle forme dellapparenza. Tuttavia, essendo noi
amanti delle locuzioni dialettiche, ci atteniamo alla
constatazione che la critica (integrata)
odierna è sempre favorevole alle strutture attuali
(conservatrici), anche se di significato anti-democratico
[<=], e sempre contraria, nei fatti, alla sperimentazione e
alla ricerca di nuove relazioni, anche se di significato
apertamente democratico. Le sue esigenze di costume e
morale come dire? compartecipanti,
annientano tutta lessenza della critica: la critica
integrata, cioè, si illude di produrre nella società
demente nuove proporzioni umane, e funziona come una Maga Circe
al contrario: trasforma le bestie (sociali) in uomini; così
facendo, la critica integrata, più che nuove composizioni
collettive, riproduce solo la demenza (e se stessa, come complice
della demenza). La sua esortazione al cambiamento
è semplicemente spinta da una immensa ambizione alla propria istituzionalizzazione.
Se, come la storia suggerisce, ogni società
costruisce e tende a codificare un proprio sistema coerente di
mistificazione per riempire il vuoto di
consenso che potrebbe aprirsi con lacuirsi della crisi
generale del capitale nella sua forma democratica le
aspettative della critica integrata, e le sue possibilità di
successo (nel riempire quel vuoto, intendiamoci),
crescono. È proprio a partire da quel vuoto che si
rende possibile, per la critica integrata, un suo possibile
insediamento (passivo, plaudente) nelle forme immediate
(storico-determinate) della comunicazione. È vero, insomma, che
le debolezze della critica integrata stanno nei
compromessi (teorici e pratici) con il dominio del capitale
democratico, da essa inteso, ancora, come il migliore
dei mondi possibile: servitrice dellaltare, si danna
lanima nel tentar, con lanfora adeguata, di spegner
le fiamme del conflitto confondendo con stereotipi. La
stabilità di dimora, del resto, ha sempre interessato la
critica integrata, e dunque la comunanza con lo stato di cose ha
dato alla stessa la possibilità di realizzare labbandono
dello scomodo dellutopia, andando incontro, con
incitamenti vocianti ed ambigui, allo spronare, nel
dopo-muro, di fantasiose apologie
dellesistente.
Anche questa volta il nostro è un fallimento
non voluto, obbligato; il non far parte, noi, di tale critica, ci
vede trascinati nellodiato mondo del capitalismo senza
esserne attratti. Ma la prigionia (sociale) non sprona la nostra
immaginazione a fuggire verso i territori rigogliosi (e ricchi)
dellintegrazione, per quanto allettanti restino quei canti
di sirena, né, tanto meno, di ripararci nei territori isolati
della pratica specifica. E, per colmare la misura del
nostro odio (odio di classe, e per ciò fuori moda),
intendiamo qui esprimere con chiarezza i fondamenti di una critica
non integrata:
- la critica (teorica e pratica,
mentale e fisica insieme) è la coscienza [<=] della
necessità-possibilità del balzo in avanti; ciò
significa: a) essa non è qualcosa per sé (lavoro fine a
se stesso, puro) ma parte integrante di un processo
reale, di un movimento, più esattamente: di
unazione, lazione della classe
oppressa, del proletariato; b) è parte
peculiare di questo movimento, qualcosa di particolare
allinterno di questo tutto.
- la critica è, secondo il suo contenuto,
innanzitutto il prodotto della considerazione dei conflitti
di classe e dellanarchia della produzione;
secondo la sua forma, riferimento (trasformazione,
elaborazione) di materiale mentale precedentemente trovato.
- la critica è dialettica (e non
metafisica) in quanto concepisce il mondo (naturale, storico e
spirituale) come un processo di sviluppo (a salti, per
successione non lineare di momenti catastrofici) per il quale
non può esserci alcuna verità assoluta.
- la critica è materialistica (e non
idealistica), si pone cioè su un terreno reale, e
non considera il divenire come sviluppo di unidea che
esiste in precedenza: è la realtà che determina;
dove per realtà intendiamo: a) la produzione materiale
come base dellintero processo della vita sociale; b)
la lotta di classe [<=] come forma dello sviluppo
storico. [Daltro lato, la critica materialistica
racchiude in sé, per così dire, la partiticità, imponendo una
valutazione di ogni avvenimento laccettazione diretta e
aperta del punto di vista di un determinato gruppo sociale].
I caratteri specifici della critica (da
delineare collettivamente nelle sedi opportune, di base in
azione e di gruppi di studio) partono dal principio che impegna
a subordinare ogni conoscenza teorica al fine
dellazione rivoluzionaria [<=] secondo lo
schema prassi-teoria-prassi. Quando, la critica del
guasto, nella sua scoperta e descrizione del Deserto,
oltreché indicare la Barbarie, indica anche la sua negazione
(il suo necessario tramonto), essa mostra, ai soggetti sociali
rivoluzionari, i punti di rottura dove la loro leva
può essere applicata nel modo più produttivo. Si tratta,
insomma, di diffondere, tramite la critica non integrata,
i processi di crisi [<=] e destabilizzazione del
capitale.
[n.g.]